Al contrario di quanto spesso si vuol far passare, sanità pubblica e privata non sono minimamente in contrasto, rappresentano anzi due componenti di un unico sistema. Erogano tendenzialmente gli stessi servizi, con qualche differenza a seconda delle varie regioni, ma la Lombardia, ad esempio – e parlo con cognizione di causa – è probabilmente quella nella quale si è raggiunta una pressoché totale tipologia di servizi offerti, comprese attività che rientrano nella prevenzione.
Sanità lombarda: i numeri di un’eccellenza nazionale
Il sistema lombardo attualmente è costituito da circa duecento strutture sanitarie ospedaliere, di cui un centinaio di natura privata accreditata con il nazionale. Parliamo di almeno quindicimila posti letto su quarantamila complessivi, mentre sono circa quattrocento su ottocento le strutture private accreditate che erogano prestazioni specialistiche ambulatoriali. Nell’ambito sociosanitario poi le strutture sono in tutto 2.650 – fra Rsa, Hospice ed Rsd – per circa 84mila posti letto, il 90% dei quali in strutture private e accreditate.
Un sistema misto anche in prevenzione
Per quanto riguarda la prevenzione, invece, in Lombardia ci sono almeno un centinaio di dipartimenti di emergenza/urgenza fra DEA di primo e secondo livello pronto soccorsi e almeno il 30% in strutture private. Molte di queste partecipano anche ai percorsi di screening che vanno dal colon retto al Papilloma virus, dalla cervice uterina a quello della mammella. Altre, dopo l’esperienza della pandemia con numeri importanti, sono ancora attive sul fronte delle vaccinazioni e solo poche settimane fa hanno aderito alla campagna che partirà a breve. I numeri confermano dunque che le strutture sanitarie private accreditate sono ormai imprescindibili per il sistema per tipologia e quantità di prestazioni erogate.
Cosa succederà alla sanità con l’autonomia differenziata?
Questa macchina oggi funziona – potrebbe farlo meglio, certo – ma tendenzialmente offre un servizio all’utenza superiore alla media delle altre regioni italiane. Potrebbe quindi sembrare avventato pensare di correre il rischio di apportare cambiamenti “stravolgendo” la situazione in essere, ma ritengo che almeno per quanto riguarda la sanità, l’autonomia differenziata non porterà mutamenti epocali all’attuale impostazione che con la riforma del Titolo Quinto ha demandato alle regioni operatività e organizzazione.
È pur vero che le amministrazioni regionali devono muoversi all’interno di una cornice che definisce “le regole del gioco” a livello nazionale ma che poi viene scaricata a terra dai singoli territori. Da operatore posso dire che tante volte è difficoltoso portare le esigenze delle zone periferiche al cuore dell’ente. Penso ad esempio ad una regione grande e popolosa come la Lombardia nella quale capita che chi vive a Mantova può ritenere più facile rivolgere le proprie istanze alla vicina Emilia Romagna che non a Milano. Figuriamoci le difficoltà di trasmettere a livello centrale le necessità dei lombardi.
A mio avviso la grande sfida è stata avviata all’inizio degli anni Duemila con il mandato alle regioni di muoversi all’interno di questo contesto e operare ognuna con le sue peculiarità e non mi aspetto con l’autonomia passi indietro né passi avanti o stravolgimenti esagerati.