«Mi chiamo Giorgia e le confesso, Ministro, che ho molta paura per il mio futuro. Soffro di ecoansia. A volte penso che io non ho un futuro, perché la mia terra brucia: in questi giorni in Sicilia sta bruciando tutto. E io non so se voglio avere figli, sinceramente, Ministro, io non lo so. Voi parlate di 2030, di 2050, di obiettivi che sinceramente sento lontani. Lei non ha paura per i suoi figli, i suoi nipoti?».
A luglio dello scorso anno, in occasione del Giffoni Film Festival, una giovane ragazza si è alzata in piedi e ha posto una sola e semplice domanda al Ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin: lei non ha paura per il futuro dei suoi figli e dei suoi nipoti?
Giorgia, l’attivista commossa che ha confessato di soffrire di ecoansia, la paura cronica della rovina ambientale, non è sola: il 72% degli italiani ha paura per il futuro, convinto che la situazione ambientale peggiorerà sempre più nei prossimi anni. Sono 7 su 10 le persone, soprattutto della Generazione Z, a provare rabbia, vergogna, senso di colpa, disperazione, dolore, preoccupazione e paura. Non solo: sono i piccolissimi i più colpiti da questo turbinio di emozioni negative. Il 95% dei bambini e delle bambine fra i 5 e gli 11 anni di età ha paura per il futuro del Pianeta: incubi notturni sull’ambiente in pericolo, difficoltà a dormire e a mangiare, senso di responsabilità opprimente per il cambiamento climatico.
Un malessere psicologico che aumenta in connessione agli eventi climatici e che colpisce a tappeto ogni fascia di età della popolazione italiana e mondiale. Di ecoansia, la nuova epidemia che sta colpendo gli abitanti di questo Pianeta malato, abbiamo parlato con Angelo Capasso, Psicoterapeuta a orientamento sistemico-relazionale per Unobravo, il servizio di psicologia online che, attraverso un questionario personalizzato e un innovativo sistema di matching, favorisce l’incontro con il terapeuta più idoneo per affinità ed esigenze personali.
Perdita di biodiversità, eventi metereologici estremi, disastri ambientali, riscaldamento globale stanno creando una profonda sensazione di disagio e paura, soprattutto fra i più giovani. Che cosa sta accadendo? Che cosa è l’ecoansia?
Se l’ansia è un campanello di allarme, spesso riferito alla paura che può degenerare in angoscia per qualcosa che ancora non è ma che tuttavia potrebbe essere, l’ecoansia è la sirena spiegata di una generazione che avverte la pericolosità di qualcosa che già c’è, ma che potrebbe andare ancora peggio. Più che un’etichetta diagnostica, questo termine-ombrello descrive bene il mix di emozioni e vissuti di impotenza, generati dalla consapevolezza che, dopo millenni di relativa stasi, il pianeta si sta preparando a una transizione geologica, su cui hanno avuto un impatto significativo anche i processi di antropizzazione.
Quale la fetta di popolazione maggiormente colpita? Quali gli effetti sul piano psicologico?
I più vulnerabili sono sicuramente i giovani, che d’altronde stanno dimostrando di essere anche i più sensibili alle tematiche ambientali. Nella società contemporanea, le sfide evolutive che ogni giovane ha durante la fase di passaggio dall’adolescenza all’età adulta implicano, da un lato, l’assunzione di responsabilità delle conseguenze delle proprie scelte, dall’altro l’accettazione della quota di incertezza che permea l’esistenza, sulla quale non è possibile avere totale controllo.
Queste due istanze, che sembrano in apparenza inconciliabili, trovano un loro modo di bilanciarsi nella maggior parte degli adulti. Tuttavia, per una persona che si sta strutturando oggi, far coesistere l’adamantina consapevolezza di un futuro climatico sempre più imprevedibile e impattante con un sentimento di responsabilità che però non può essere seguito da un’azione individuale risolutiva, può degenerare in senso di angoscia e di inefficacia, che si sommano alla sfiducia per le generazioni precedenti percepite come ree di disinteresse per il problema.
La scorsa estate, durante il Giffoni Film Festival, un’attivista si è alzata in piedi e piangendo ha detto, rivolgendosi al Ministro dell’ambiente: «Mi chiamo Giorgia e soffro di ecoansia. Ho molta paura per il mio futuro. E lei, Ministro? Non ha paura per i suoi figli, per i suoi nipoti?». Quali i risvolti pericolosi di questa diversa paura per il futuro?
Un possibile risvolto negativo potrebbe essere un maggior disinvestimento emotivo e relazionale con conseguente mancanza di progettualità: che senso ha faticare per seminare se non si nutre la speranza che alcuni di quei semi abbiano chance di germogliare e crescere?
Siamo di fronte ad una nuova e possibile epidemia di problemi mentali legati al clima?
A volte penso che questa epidemia abbia avuto inizio già secoli fa, quando l’uomo ha iniziato a pensarsi come separato dalla natura di cui egli stesso è parte, vivendo nell’illusione di poterla controllare e manipolare senza sentire il peso delle responsabilità delle conseguenze delle sue azioni. Oggi stiamo assistendo ai primi sintomi più significativi (sia geologici che psicologici), anche se sarebbe presuntuoso per noi come specie pensare che i cambiamenti legati al clima siano solo opera dell’uomo, la geologia spiega che ci sarebbero stati comunque, l’antropocene sta solo accelerando i tempi.
Tutte le specie regolano i propri comportamenti e il proprio metabolismo sulla base dei cambiamenti di stagione, inclusi i mammiferi e, quindi, gli uomini. È altamente probabile che, se ci saranno consistenti modifiche metereologiche, cambieranno anche le nostre abitudini e i comportamenti. Un rischio che vedo è che questi cambiamenti possano avvenire troppo repentinamente: senza una gradualità, faremo più fatica a far ricorso alle nostre capacità adattive e potrebbero esserci conseguenze psicologiche per alcune persone.
Quale la cura?
Per curare è importante imparare ad ascoltare ciò che il sintomo ci sta comunicando. E il sintomo è una paura che di fondo è sana, perché amplifica in prospettiva qualcosa che già sta avvenendo, permettendoci di provare a correre ai ripari. Dal momento che il cambiamento climatico riguarda tutti e tutto il pianeta, l’ecoansia non andrebbe letta solo come patologia del singolo, ma in un’ottica sistemica, per cui la cura potrebbe essere attivarsi e avere il coraggio di trasformare quella paura in una presa di coscienza collettiva.