Sono passati cinquant’anni da quando il Club di Roma, promosso dall’intelligenza visionaria di Aurelio Peccei, pubblicò il suo primo Rapporto dal titolo “I limiti alla crescita”, erroneamente tradotto allora con “I limiti allo sviluppo”. Il Club riuniva esperti, premi Nobel, studiosi internazionali, preoccupati dai primi segnali di squilibrio nell’ecosistema e dal peso crescente delle disuguaglianze planetarie. Fu da allora che si iniziò ad usare l’espressione “un pianeta malato”: un’espressione che all’epoca appariva suggestiva e che solo oggi abbiamo compreso essere quanto mai pregnante. Sì, il pianeta può tecnicamente ammalarsi, e con esso i suoi abitanti, animali ed esseri umani. E’ forse la traduzione più efficace del termine “One Health”, entrato ormai a far parte del vocabolario delle politiche sanitarie generali, oltre che degli addetti ai lavori.
Abbiamo capito appieno, con la pandemia da Covid-19, cosa implichi il legame, indissolubile, che esiste tra salute umana, salute animale e salute del pianeta. Abbiamo pagato un prezzo altissimo a causa del corto circuito tra questi tre elementi, e oggi siamo chiamati a mettere in campo soluzioni di lungo termine per garantire una salute integrale.
Proprio questa è la chiave interpretativa più utile, se vogliamo davvero occuparci oggi delle possibili emergenze di domani. Una salute integrale non è la sommatoria del benessere delle singole componenti. Piuttosto, si tratta di mettere in campo politiche di salute in grado di contemperare i diversi aspetti della salute (verticale) e i diversi soggetti della stessa (orizzontale, e dunque uomo-ambiente-animali).
Come farlo è un tema che impegnerà per i prossimi anni esperti, studiosi e decisori politici. Ma anche – sempre di più – il pubblico, a cominciare dalle giovani generazioni. Non a caso le conclusioni della recente Conferenza delle Parti (Cop-28) di Dubai hanno acceso un faro sulle politiche sanitarie, dedicando alla salute un’intera sessione ed evidenziando il nesso tra gli impegni necessari a tutelare l’ecosistema e gli impatti sulla salute degli esseri umani.
Ci sono molti aspetti che legano i tre elementi. Uno, in particolare, merita attenzione: la prevenzione. Con questo termine si fa riferimento ad una quantità enorme di azioni e di obiettivi. C’è la prevenzione legata agli stili di vita, quella legata alla lotta alle malattie non trasmissibili, la prevenzione di nuove pandemie. Ma anche la prevenzione dei danni alla salute che provoca l’inquinamento crescente nelle grandi aree urbane. O ancora, la prevenzione dei pericoli legati alla promiscuità tra esseri umani, vegetazione e specie animali, quella stessa promiscuità che ha favorito due anni fa il salto di specie del coronavirus.
Sono – tutti – elementi cruciali, che vanno curati e gestiti contemporaneamente e con la stessa efficacia. A tutti gli aspetti di prevenzione continuiamo a dedicare troppo poco. Poca attenzione nelle politiche pubbliche, poca attenzione nelle nostre abitudini quotidiane, poche risorse economiche. In Italia, e più in generale in Europa, la quota di fondi dedicata alla prevenzione rimane una frazione estremamente ridotta dei budget totali per la salute. I nostri sistemi di welfare, incluso il nostro Sistema Sanitario Nazionale che ha compiuto a dicembre 45 anni, sono stati disegnati in un’epoca storica nella quale era necessario intervenire per garantire cure e sostegno ai pazienti. Sono sistemi “analogici” e “binari”, costruiti cioè sulla dicotomia “sano-malato”. Se sei sano, buona vita. Se sei malato, puoi – per fortuna di tutti noi – rivolgerti al sistema sanitario e accedere a cure gratuite. Un modello che non regge più la sfida della contemporaneità.
Dobbiamo ridisegnare il sistema, mantenendo fermi i valori e i princìpi ma aggiornando i sistemi. Dobbiamo spingerci in un’ottica di tutela orizzontale della salute e del benessere, usando anche le nuove tecnologie per prevedere i bisogni di salute del futuro e prevenire le cause delle patologie. Uno schema che, come detto, non si applica soltanto all’uomo. Estenderlo al regno animale e al pianeta ci aiuta a fare meglio con meno. E non è solo una questione di risorse economiche: anche iniettando nel sistema nuove, ingenti risorse, il sistema ha buchi troppo grossi per non disperderle. Lavoriamo piuttosto sugli aspetti essenziali di una salute integrale, che possa consentire di evitare il collasso climatico, favorire la persistenza della biodiversità e la prevenzione delle patologie nell’essere umano. Questo – vasto – programma sarà accompagnato nei prossimi decenni dalla più importante rivoluzione in medicina mai testimoniata. Le frontiere della genomica, della medicina di precisione, delle terapie geniche e cellulari, ci consentiranno di debellare quelle malattie che accompagnano naturalmente la vita degli esseri umani e che ancora oggi – ma non per molto – risultano impossibili da curare. Saranno quindi la scienza e le nuove tecnologie a fare il resto. A tutti noi spetta il compito di contribuire a disegnare un modo di prendersi cura della salute integrale più moderno ed efficace. In questo senso, la parola “crescita” non è incompatibile con la parola “sviluppo”.