Credo sia fondamentale sensibilizzare i cittadini sulla drammatica caduta di biodiversità, legata alla distruzione dell’ambiente e degli ecosistemi, sulla soglia della cosiddetta sesta estinzione davanti alla quale siamo ancora ciechi. Non solo oggi, che ricorre la Giornata Mondiale dell’Ambiente. IPBES, il Panel Internazionale dedicato alla Biodiversità e ai Servizi Ecosistemici, parla di un milione di specie estinte o a rischio di estinzione nel giro di pochi decenni.
Siamo in tempo per fermare questa catastrofe? Pensiamo almeno che fermare l’estinzione sia necessario? E se lo pensiamo, cosa siamo disposti a fare per invertire la tendenza? Siamo di fronte ad un problema scientifico (conoscere meglio)? O non, piuttosto, ad un problema etico (rinunciare a un modello di crescita insostenibile)?
Le cause della perdita di biodiversità
La rapida perdita di biodiversità a scala planetaria è legata a molteplici fattori concomitanti. Primo fra tutti, il riscaldamento globale antropogenico che induce cambi di fenologia e comporta uno stress crescente su tutti gli ecosistemi. Ancora, la riduzione della disponibilità di risorse per le varie specie, anche a causa della crescente erosione del capitale naturale da parte degli umani. Le modifiche nella relazione tra le varie specie (competizione, predazione, parassitismo …). Soprattutto, la distruzione dell’ambiente, causata – a sua volta – da una serie di fattori. Il diffondersi dell’agricoltura industriale e della zootecnia intensiva. L’urbanizzazione e la distruzione di suolo. La frammentazione degli habitat, a causa della crescente antropizzazione del territorio, dalla deforestazione e dall’acidificazione dell’oceano, primariamente innescata dall’assorbimento di parte dell’eccesso di circa il 30% della CO2 liberata dall’Uomo in atmosfera. L’inquinamento impatta tutti gli ambienti. In particolare, l’uso dei pesticidi sta colpendo gli insetti impollinatori senza i quali la riduzione della biodiversità vegetale è immediata. A questo si aggiungono altre forme di inquinamento: dalla plastica dispersa nell’ambiente all’inquinamento acustico degli oceani, che il CNR sta studiando con attenzione.
Ecosistema unico e interconnessione rapida: i rischi
L’industria zootecnica alleva oltre 60 miliardi di capi di bestiame all’anno e per farlo richiede spazio, cioè crescenti porzioni di superficie del pianeta, oltre a consumi enormi di acqua, e contribuisce significativamente all’emissione di gas serra. Lo spazio lo prende alle foreste che vengono distrutte lasciando il passo ad un ecosistema semplificato. Non solo il bilancio in termini di emissione di gas serra (perdita del più importante “pozzo” ed aumento di importanti emettitori di C, in forma di metano o anidride carbonica) accelera il riscaldamento globale e tutto ciò che ne consegue (dall’amplificazione artica all’aumento del livello globale dei mari), ma porta a distruggere biodiversità ad un tasso e con una sistematicità che non hanno precedenti nella storia del pianeta. Se rappresentiamo in peso (non in numero) la totalità delle specie di mammiferi viventi oggi al mondo vediamo che il totale delle specie ancora selvatiche è solo il 3%, che il 30% siamo noi umani e che il 67% sono le pochissime specie che abbiamo selezionato per farne cibo.
Stiamo progettando e realizzando un ecosistema semplificato “unico” a scala di pianeta fortemente interconnesso dal sistema di trasporti globalizzato. Di questa interconnessione abbiamo avuto prova con la rapida diffusione del SARS-COV2 che causa il Covid-19. Ecosistema unico e interconnessione rapida portano a un maggiore rischio per la nostra stessa specie che non può pensare di salvarsi da sola ma, al contrario, deve riporre le proprie speranze nella preservazione di ecosistemi complessi, con alta biodiversità e quindi resilienti.
La ricerca ecologica: perché è importante
Alla fine degli anni ’60 si è iniziato a parlare di limiti dello sviluppo (con il Club di Roma) e negli ultimi anni si è iniziato a pensare in termini di limiti planetari, oltre i quali è bene non andare se non si vogliono subire conseguenze imprevedibili. Tra questi, il limite maggiormente oltrepassato è al momento ancora proprio quello che definisce la perdita di biodiversità. Si rivela, dunque, molto importante la ricerca ecologica a lungo termine – LTER. Il lavoro della comunità che studia questa tendenza permette di comprendere anche l’importanza delle variazioni fenologiche (gli sfasamenti tra i periodi di riproduzione e crescita delle diverse specie con conseguente trasformazione dei rapporti tra di esse) e le migrazioni di specie da un continente all’altro causate dall’Uomo (con la diffusione di specie che chiamiamo “aliene” o “invasive”, quasi attribuendo loro la strategia di spostarsi).
Per parlare con rigore di biodiversità e della sua riduzione, fino alla minaccia di tante estinzioni, occorre avere un censimento di ciò che si conosce. Poi, ancora, denominare le specie in modo univoco o almeno riconoscere le involontarie omonimie che si generano quando comunità scientifiche diverse finiscono per nominare con nomi diversi la stessa specie. Il lavoro di LTER è indispensabile e offre la solida base da cui parte qualunque lavoro scientifico successivo. Lo studio delle serie ecologiche a scala ormai di molti decenni consente inoltre di individuare i salti di regime, spesso irreversibili, quando, in funzione di pressioni antropiche o di cambiamenti legati all’ambiente e al clima, cambia improvvisamente la struttura di un ecosistema con l’espansione di una nuova specie dominante.
Siamo pronti?
Occorre capire che non possiamo pensare di salvarci da soli, “ingegnerizzando” il pianeta. Ci salveremo solo salvando con noi tutte le specie e gli ecosistemi da esse strutturati. Per fare questo dobbiamo essere disposti a una società con meno consumi. Zero carne rossa, meno viaggi, soprattutto aerei. Fermare i disboscamenti e la distruzione di ecosistemi complessi in grado di assorbire gas serra. Basta con la pesca forsennata praticata con la logica dei cacciatori raccoglitori ma armati di navi-industria ed elicotteri per individuare i banchi di pesce più remunerativi.
Siamo pronti? Se non lo siamo, tutti i progetti di ricerca sulla biodiversità serviranno solo a costruire la wunderkammer virtuale delle specie ormai scomparse.