A pochi giorni dalla pubblicazione della graduatoria nominativa per il test di medicina e odontoiatria 2024, prevista per il 10 settembre, il dibattito su formazione e accesso alla professione si intensifica. “Non parliamo di numero chiuso, ma di numero programmato,” chiarisce Carlo Ghirlanda, Presidente dell’Associazione Nazionale Dentisti Italiani – ANDI, che sottolinea l’importanza di una pianificazione calibrata sulle esigenze del sistema sanitario e sui fabbisogni regionali. Ma l’accesso alla professione è solo uno dei temi caldi affrontati nell‘intervista esclusiva rilasciata a One Health. Il Presidente Ghirlanda si sofferma sull’urgenza di migliorare la qualità della formazione universitaria, affinché i giovani odontoiatri possano entrare nel mondo del lavoro con competenze subito operative: “La laurea è abilitante, ma non sempre gli studenti escono pienamente pronti a esercitare“, spiega.
Tra le sfide principali della professione, anche quella di contrastare la carenza di professionisti in Italia, una situazione che rischia di peggiorare come già avvenuto in altri Paesi europei, e di creare un sistema di cure più accessibile attraverso fondi integrativi, senza rinunciare alla libertà di scelta del medico. “Siamo contrari alle convenzioni che limitano il diritto del paziente a scegliere il proprio dentista,” sostiene fermamente Ghirlanda. Nel colloquio si affrontano altre questioni cruciali come l’abusivismo, la sostenibilità ambientale degli studi odontoiatrici e il ruolo dell’intelligenza artificiale nel futuro della professione.
Presidente, siamo a pochi giorni dall’ufficialità della graduatoria nazionale per il corso di laurea in odontoiatria. Molti studenti italiani, però, spesso scelgono di recarsi all’estero per studiare, dal momento che nel nostro Paese esiste la stretta “ghigliottina” del numero chiuso. Cosa pensa di fare ANDI in questo ambito?
Mi permetta di fare alcune precisazioni. Il numero è “programmato” e non “chiuso”, ed è legato a una valutazione del numero previsto di professionisti Odontoiatri che viene realizzata su base regionale. Ogni Regione, infatti, definisce il fabbisogno di formazione per le professioni sanitarie, da cui deriva l’indicazione del numero al Ministero competente, il quale poi determina i posti disponibili sede per sede.
Per quanto riguarda coloro che studiano all’estero, solitamente si tratta di ragazzi e ragazze che non riescono a superare l’esame di ammissione in Italia: una sorta di misura di riparazione di un esito infelice. Oggi, in Italia, è nuovamente in discussione anche questo meccanismo: si cercherà di creare una barriera, non immediatamente all’ingresso ma dopo un anno dall’inizio degli studi universitari. Aspettiamo di capire quali saranno le decisioni governative in merito. Per noi, come sindacato, è tuttavia molto più importante l’esito della formazione rispetto all’ammissione.
Formazione completa per entrare subito nel mondo del lavoro, dunque.
ANDI, che è un sindacato di categoria, richiede all’Università di formare effettivamente dei professionisti che siano in grado di essere immediatamente competenti. In particolare, in questo momento la laurea in odontoiatria è abilitante: cioè Odontoiatri laureati in grado di essere immediatamente operativi, perché non devono più sostenere l’esame di Stato. Noi, quindi, sosteniamo l’esigenza di avere laureati che a 24 anni possano essere inseriti nel mondo del lavoro con pieno profitto, sia per loro che soprattutto per i pazienti.
Ha usato il condizionale. Significa che ciò non accade?
Non è sempre così, ahimè, dunque c’è bisogno di una curva di apprendimento ulteriore. Non tutte le sedi universitarie sono in grado di soddisfare pienamente il fabbisogno di formazione, teorico ma anche pratico, che questa disciplina richiede. Lo sforzo che stiamo facendo come ANDI, in collaborazione con l’Ordine e con le stesse Università consapevoli della propria necessità di crescita, è quello di produrre un’organizzazione in grado di dare maggiore supporto sia alla formazione sia ai giovani, che oggi hanno bisogno di uscire dal corso di studi più preparati.
In Italia vi è una crisi generalizzata di carenza di professionisti. Tale fenomeno impatta anche nel settore odontoiatrico? Guardando fuori dal nostro Paese, in Gran Bretagna è un problema sentito: gli specialisti sono pochi e quelli convenzionati con il Servizio Sanitario Nazionale sono quasi introvabili, al punto che le cure odontoiatriche sono diventate un tema di campagna elettorale.
Occorre intanto ricordare che stiamo parlando di due sistemi molto diversi in termini organizzativi. In Gran Bretagna c’è una nazionalizzazione della professione, e l’Odontoiatra deve forzatamente eseguire un certo numero di prestazioni in una unità di tempo prestabilita. Ma questo criterio organizzativo non funziona se si vuole eseguire correttamente una prestazione odontoiatrica, né per il paziente, sia perché le patologie hanno bisogno dei tempi opportuni per essere diagnosticate – in termini di necessità – sia perché le terapie possano essere ben eseguite in termini clinici, né per il professionista, che certamente non può lavorare a cottimo. In Italia la situazione è diversa.
Qual è la situazione in Italia?
Nel nostro Paese l’attività odontoiatrica è prevalentemente libero professionale, ed il pubblico interviene per circa il 5% delle prestazioni che all’anno vengono erogate nell’ambito del servizio di odontoiatria. Ed il costo della terapia è prevalentemente tutto a carico del paziente. Una parte dei cittadini trova, a fronte di contratti collettivi di lavoro, un parziale rimborso. Penso, per esempio, ai giornalisti e alla cassa di previdenza integrativa Casagit. Tuttavia per la maggioranza degli italiani tale opportunità non esiste. Sono, infatti, solamente circa quindi 15 milioni i cittadini che in questo momento hanno una copertura integrativa sanitaria che riguarda l’odontoiatria, mentre il resto della popolazione non può contarci. Questo è un dato sul quale noi, come ANDI, stiamo lavorando, per ciò che attiene alle nostre competenze e possibilità di intervento. In questa direzione stanno andando i nostri sforzi con il fondo integrativo FAS.
Fas e convenzioni odontoiatriche, appunto: viene negato al cittadino il diritto di scelta del medico curante, venendo meno anche il rapporto fiduciario. Cosa pensa di fare ANDI?
Siamo profondamente contrari alle convenzioni: riteniamo che la libera scelta del medico curante Odontoiatra al quale affidarsi sia un diritto per ogni cittadino, come riconosciuto peraltro anche dalla stessa Costituzione. Accade invece che, nell’organizzazione dei servizi di assistenza i fondi integrativi, che sono il cosiddetto secondo pilastro della sanità pubblica, affidano l’erogazione delle loro prestazioni a provider assicurativi, soggetti che intermediano il rapporto tra il fondo integrativo frutto della contrattazione collettiva, dove giacciono le risorse economiche, e la rete di professionisti e strutture cliniche presso le quali l’associato al fondo integrativo potrà richiedere una prestazione medica o odontoiatrica. I providers “giocano” il proprio ruolo economico facendosi pagare l’intermediazione, che consiste nella creazione di reti professionali e di regole, in gran parte convenienti per l’assicurazione e non per l’associato né per il professionista, colui che poi è chiamato a dedicare le proprie attività alla cura della salute di queste persone. Il sistema non sta più in piedi.
Quale è, dunque, la vostra risposta come ANDI al fenomeno?
Noi predichiamo il principio di libera scelta, ma soprattutto il principio della presa in carico. Nello specifico, la bocca è un organo che si ammala facilmente perché è un organo esposto a qualsiasi agente esterno: con la bocca noi mangiamo, parliamo, ci rapportiamo agli altri. La bocca è quindi un organo pieno di batteri, continuamente a rischio di ammalarsi. Il quanto e come la bocca si ammala dipende poi dalle attenzioni che ognuno vi dedica, in particolare richiedendo controlli dal proprio Dentista: è necessario, dunque, eseguire visite di prevenzione e pulizia professionale con regolarità. Qualora ciò non dovesse avvenire nei tempi giusti, aumenta drasticamente il rischio di sviluppare una patologia dentale o dei tessuti di sostegno del dente. Per evitare che ciò accada, prevediamo, mediante il nostro fondo integrativo, un patto fra Odontoiatra e paziente: il nostro Fondo FAS rimborserà una consistente quota parte del costo delle prestazioni, soprattutto quelle più costose, a fronte di una quota associativa molto ridotta – poche decine di euro l’anno – ma al paziente chiediamo di eseguire a proprie spese una visita di prevenzione e almeno un’igiene professionale all’anno. Ciò che noi perseguiamo è creare nel paziente la consapevolezza che senza la sua collaborazione alla prevenzione nella sua bocca si ripeteranno nel tempo e con frequenza patologie dentali e parodontali.
Ci spieghi meglio.
Vogliamo aiutare il paziente a comprendere che se non ci mette impegno non riesce a evitare di ammalarsi e di conseguenza andrà incontro a delle spese. Ribadisco: siamo contrari alle convenzioni, siamo fautori della libera scelta e di un patto fra medico, dentista e paziente tale per cui quest’ultimo possa capire l’importanza della propria bocca e adoperarsi per mantenerla sana, affidandosi a un professionista che si prenda cura della sua salute.
La salute orale dei cittadini nel post Covid è peggiorata. Come fare?
Purtroppo ricordo quei mesi concitati molto bene. Insieme al dottor Iandolo, il Presidente Nazionale dell’albo degli Odontoiatri, perorammo l’iniziativa di chiudere gli studi in virtù del divieto di circolazione della popolazione. All’epoca c’era ancora una scarsa conoscenza dei meccanismi di diffusione del virus. Ma eravamo comunque a disposizione, soprattutto per evitare di intasare, solo per un mal di denti, i Pronto Soccorso, che in quel momento erano impegnati ad affrontare ben altre emergenze. Però le assicuro che fu una decisione sofferta. Sicuramente, il peggioramento della salute ora della popolazione è dovuto a più fattori distinti.
Quali?
Prima di tutto, la popolazione si era impaurita. E non si recava più dal dentista poiché non veniva garantito il metro di distanza, che veniva considerata la misura minima di sicurezza oltre la quale si rischiava di essere contagiati. Ma per sua natura, la nostra professione non poteva garantire tale distanza. Molti pazienti, soprattutto i più anziani, hanno ritardato la continuità di cura per timore di infettarsi. Nonostante, invece, lo studio odontoiatrico fosse forse il luogo più sicuro. Come categoria siamo da sempre fautori di imponenti misure di sicurezza nei confronti del paziente, del nostro personale e di noi stessi. Questa paura è rimasta – purtroppo – presente per lungo tempo anche terminata l’emergenza COVID, ed il risultato è stato un certificato peggioramento delle situazioni generali del paziente.
A tutta questa situazione si è poi aggiunta la crisi economica.
Esatto. Lo scoppio della guerra e il conseguente aumento dei costi per le famiglie (pensiamo agli incrementi su energia e gas) hanno ridotto la capacità di spesa della popolazione. Ciò ha così creato un loop che ha portato molti pazienti, magari anche con patologie gravi, a ritardare ulteriormente la propria cura odontoiatrica e soprattutto le attività di prevenzione, che – insisto a dire – rappresentano la chiave di volta in tutto questo contesto. Le spese aumentano, dunque, anche perché aver trascurato la propria salute orale ha causato un aggravamento della patologia iniziale. Ed è proprio per questa difficoltà di accesso negli studi dentistici di una parte della popolazione italiana che abbiamo creato questo meccanismo con il nostro fondo integrativo. Siamo l’unica categoria che ha costituito un fondo rivolto alla cittadinanza, che vuole fare prevenzione e rimborsare terapie, soprattutto quelle più costose. Anno dopo anno, aumenteremo la platea di prestazioni rimborsabili se il paziente mantiene un buon atteggiamento di prevenzione nei confronti della cura odontoiatrica, sostanzialmente auto premiandosi. Un meccanismo che potrebbe segnare veramente una svolta nel percorso della sostenibilità della spesa nel nostro settore.
Cosa fa ANDI per contrastare l’abusivismo della professione dell’odontoiatra? E cosa per combattere le pubblicità ingannevoli?
Mi fornisce un bell’assist. Occorre innanzitutto ricordare che la Legge Lorenzin del 2018 ha inasprito moltissimo le pene per il cosiddetto abusivismo. L’abusivo è colui che esercita la professione senza avere titoli. La nostra è una professione “protetta” non perché abbiamo delle prerogative migliori ma “protetta” nel senso di “vigilata”. Siamo vigilati da un Ordine professionale che ci sorveglia a favore del cittadino affinché si agisca nella maniera opportuna. Prima della Legge Lorenzin le pene erano veramente molto tenui.
Cosa rischia oggi l’abusivo?
Oggi è tutto molto più difficile per chi cerca di fare il furbo e incappa nella violazione dell’art. 348 del Codice Penale, rubricato appunto “Esercizio abusivo di una professione”. Subisce infatti la confisca dell’appartamento nel quale si svolge la professione così come di tutto il materiale utilizzato per esercitare. E poi sono previste pene sia detentive che pecuniarie molto importanti.
Anche per quanto riguarda la pubblicità ingannevole siamo stati sostenitori, insieme alla Commissione Albo degli Odontoiatri e ai suoi componenti, in particolare i Dottori Iandolo e Senna, di una legge, il cosiddetto decreto Boldi, a ricordare l’On. Rossana Boldi che ne fu la prima firmataria e sostenitrice, che è stata varata nella Finanziaria 2018, che ha finalmente impedito la diffusione di messaggi promozionali in Odontoiatria che presentassero caratteri di suggestione e informazioni fittizie.
Prima si vedevano sui mezzi pubblici pubblicità con sorrisi smaglianti che invitavano ad andare presso l’uno o l’altro centro odontoiatrico offrendo prestazioni gratuite o dando in prova protesi dentali. Si trattava però di prestazioni civetta per attrarre pazienti ignari per fargli poi impianti più costosi o eseguire prestazioni ulteriori. Una grande presa in giro.
Tutto questo oggi non si può più fare, giusto?
Giusto. Da una parte non si può più fare perché esiste questa legge dedicata. Dall’altra parte perché, all’interno della stessa Legge, è previsto che gli stessi centri che prima facevano questo tipo di pubblicità aggirando ogni regola senza vigilanza e che ora sono organizzati in forma societaria, debbano dotarsi di un Direttore Sanitario Odontoiatra. Nel momento in cui emerga un abuso rispetto alla Legge vigente, quel professionista viene chiamato dall’Ordine, poi giudicato disciplinarmente fino ad essere sospeso o comunque sottoposto a un provvedimento disciplinare. Abbiamo, insomma, già fatto tanto da questo punto di vista e continuiamo a fare tanto. Anche la stessa attenzione dell’attuale Governo sotto questo punto di vista è altissima. Sono convinto che ci sia massima volontà di continuare in questa direzione nell’interesse del paziente, di noi professionisti e della qualità dei servizi offerti.
L’assessore al welfare della Lombardia Bertolaso ha annunciato di voler dare avvio ad un progetto sperimentale (per 6 mesi e con un investimento di 750mila euro) per fornire impianti e protesi a pazienti oncologici (sottoposti a demolizioni funzionali per patologie del cavo orale) e vittima di traumi facciali. Una strada da intraprendere in tutta Italia?
Io immagino che nella programmazione di questo progetto ci sia stato uno studio delle casistiche e dell’epidemiologia di questo tipo di problemi nella Regione Lombardia. Altrove probabilmente non ci sono le stesse risorse, o questa situazione non necessita della stessa intensità di attenzione.
In Toscana, ad esempio, c’è un’importante attività di prevenzione. ANDI ha avviato dei colloqui con il Ministero e alcune entità collegate per iniziative a supporto di alcune fasce di popolazione.
Quello che fa la Regione Lombardia, peraltro, è già previsto nei LEA: dare assistenza a pazienti in vulnerabilità economica e sistemica, cioè di salute generale.
Comunque, ben venga questa opportunità. Devo dire, però, che la somma di 750mila euro rappresenta una goccia rispetto al fabbisogno dell’odontoiatria in generale. Consideriamo che in tutta Italia il fatturato dell’odontoiatria privata è di circa 10 miliardi l’anno, mentre di quella pubblica è di 85 milioni. Ripeto, la nostra professione è una branca prevalentemente libero professionale, ma lo è per un motivo organizzativo.
Quale?
Consideriamo che quando sono permanenti, i denti sono 32, che nascono dopo i 20 denti da latte. Ad aver bisogno di cure possono essere singoli o più denti contemporaneamente, oppure i tessuti di sostegno osseo di denti singoli o di molti di essi. E quando un paziente deve recarsi più volte da un dentista per curarsi, deve trovarne uno che allo stesso tempo conosca, con cui abbia un buon rapporto e si trovi bene, magari vicino casa, o vicino al lavoro, comodo negli spostamenti o per gli orari.
Voglio dire che l’odontoiatria è una disciplina di prossimità: proprio per questo ci sono 64mila studi ovunque in Italia. Siamo più numerosi e più disseminati delle farmacie e delle stazioni dei carabinieri. In ogni paesino c’è un dentista pronto a curare un paziente. L’organizzazione, quindi, è diversa rispetto alle altre professioni sanitarie e non può essere centralizzata.
Ambiente e sostenibilità. Alcuni studi hanno indicato che le principali cure odontoiatriche sono responsabili dell’immissione in atmosfera di 676 tonnellate di CO2 all’anno. Quali progetti per ridurre l’impatto ambientale?
ANDI ha già varato progetti per ridurre l’impatto ambientale degli studi e delle cure.
Si tratta di una serie di misure che spaziano dal risparmio energetico al risparmio di acqua, fino all’utilizzo di materiale riciclabile, sia di oggetti come penne e bicchieri sia degli aspirasaliva.
È un percorso nato qualche anno fa, come documentato dai nostri documenti congressuali, anche se certamente non ancora concluso. Per quanto riguarda le emissioni create dagli spostamenti, una cosa è certa: il dentista non può recarsi a casa dei pazienti, se non in casi del tutto eccezionali, per una serie di motivazioni. Per iniziare, non esiste alcun controllo ed il rischio di abusivismo della professione – di cui parlavamo poco fa – aumenterebbe esponenzialmente. Ciò andrebbe anche a discapito della qualità dell’assistenza offerta al paziente. Bisogna trovare il giusto equilibrio fra le esigenze ambientali e di cura. La strada è stata intrapresa, la tematica della sostenibilità ci sta a cuore, ad ogni occasione viene ribadita e la nostra categoria vi dedica quotidianamente un’attenzione specifica.
In quale modo l’IA potrà entrare negli studi odontoiatrici?
L’intelligenza artificiale necessita di una regolamentazione. Ciò che è certo è che non potrà mai sostituire il professionista. Tutto quanto possa supportare e facilitare l’odontoiatra, soprattutto per la diagnosi e la progettazione, è e sarà ben accetto, ma l’ultima parola rimarrà sempre e comunque al professionista. Gli attuali software odontoiatrici basati sulla intelligenza artificiale sono sostenuti da pochissimi dati: il rischio, quindi, è che il software possa indicare valutazioni sbagliate.
Da parte nostra, abbiamo creato una software house interna, che abbiamo chiamato “ANDI Lab”, che lavora con intelligenza artificiale e che serve da supporto sia al professionista che al proprio staff. Si tratta di un sistema gestionale che aiuta lo studio dentistico a governare i flussi dei pazienti ed anche la parte organizzativa, cercando di offrire sempre il miglior servizio al paziente.
Per quanto riguarda la robotica, invece?
Certamente può essere utile per ciò che attiene all’assistenza alla poltrona ma non ancora e – ritengo – mai nell’esecuzione delle terapie. Il robot ha bisogno di essere accompagnato da una piena disponibilità e tolleranza da parte del paziente, che invece sulla poltrona si muove, si agita, o semplicemente può aver bisogno di deglutire, starnutire o altro. Sicuramente in qualche percorso dell’organizzazione interna dello studio, come nella gestione del riordino, della sterilizzazione o di alcune di alcune fasi della cura potrà essere e sicuramente sarà di supporto. Serve, però, un equilibrio tra la forza lavoro umana e la forza lavoro robotica: non si può togliere lavoro alle persone sostituendole con un robot.
Presidente, siamo quasi al termine del nostro colloquio e non può mancare una domanda di prospettiva: quali le sfide future per la professione?
Per iniziare, credo che la professione debba crescere in termini organizzativi per essere più proattiva, meno costosa e più performante, mettendo sempre al centro le esigenze di cura del paziente. Poi, credo sia necessario avviare e sostenere dei percorsi di aggregazione e di associazionismo fra professionisti, affinché ognuno possa dare il meglio di sé nella cura del paziente e nella prevenzione. Si tratta di un grande obiettivo e un grande traguardo per una professione che in futuro, probabilmente, vedrà cambiare le proprie competenze.
In quale direzione?
Il paziente che viene in studio è sempre più curato, non perde più denti, c’è una diminuzione nella richiesta di impianti, e potrebbe cambiare la patologia parodontale. La popolazione oggi è più anziana ma anche più sana, con esigenze di qualità di vita diverse rispetto al passato. Pensiamo alla medicina estetica del viso che, da circa un anno grazie a questo Governo, rientra nelle competenze del Dentista. Si va definendo una nuova figura dell’Odontoiatra, un professionista che si occuperà fondamentalmente del benessere del paziente, in termini di mantenimento di tutti i propri denti e di miglioramento della qualità dell’estetica. La medicina estetica è una delle richieste che la popolazione italiana sta manifestando e che certamente costituirà la motivazione per una declinazione ancora più ampia della professione odontoiatrica.