Con il suo insediamento inizia una “nuova era per la Medicina Generale”: sulle spalle dei giganti del passato, Simg guarda al futuro puntando sulle nuove generazioni di medici. Il Dottor Alessandro Rossi, nuovo Presidente della Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie, dialoga con One Health sul programma del suo mandato e sulle sfide della medicina di famiglia di domani. Dal numero programmato per i test di medicina, ad una rivoluzione nella formazione sia pre che post laurea, incaricando i medici di base per l’insegnamento in una scuola di specializzazione che deve uniformarsi alle altre. L’antibiotico-resistenza? “I numeri ci dicono che, se non mettiamo in campo delle azioni concrete per la prevenzione, nel 2050 i morti per infezioni resistenti agli antibiotici saranno superiori ai morti per qualunque altra causa”.
Cambio al vertice dopo anni: lei raccoglie un’eredità importante, quella di Claudio Cricelli, che ha guidato la SIMG per 25 anni
Raccolgo un’eredità molto importante e molto impegnativa, quella di due fondatori di Simg – Aldo Pagni e Claudio Cricelli –, che sono stati presidenti dalla fondazione fino ad oggi. Consapevoli di questo passato importante, adesso guardiamo al futuro: significa pensare ad un rinnovamento di incarichi ogni 3 anni (il tempo del mandato istituzionale), dando spazio a nuove generazioni di medici.
«La Simg costituisce una realtà evoluta ed è leader di processi e soluzioni avanzate ed innovative che rappresentano motivo di profonda soddisfazione ed orgoglio per la professione della Medicina generale», ha detto Cricelli passandole il testimone. Quali nuove soluzioni, adesso?
Come ha detto Claudio (Cricelli, ndr), la Simg è una punta innovativa e all’avanguardia della Medicina Generale. Possiamo considerarci rappresentativi di una buona parte della Medicina Generale italiana e siamo sempre stati storicamente all’avanguardia nelle soluzioni di ricerca, di tecnologie al servizio della medicina e di formazione avanzata. Quindi, le soluzioni al passo con i tempi dovranno rientrare in questi campi. Una ricerca che, con Health Search, ha già un fondamento riconosciuto in termine di pubblicazioni e di riconoscimenti, che ha testimoniato nel corso dei decenni come i dati della Medicina Generale possano avere un riconoscimento anche nella letteratura internazionale. Una formazione con soluzioni che sono ben rappresentate dal nostro congresso nazionale in cui, accanto a simposi puramente scientifici, svolti sempre in modalità interattiva e innovativa, abbiamo i Simg Lab, le Simulation Room, e tutto ciò che riguarda il saper fare, le skills di una Medicina Generale moderna. Infine, non dimentichiamo che la Simg deve saper proporre soluzioni di management: quindi una nuova organizzazione degli studi, perché ormai è assolutamente superato il tempo di una Medicina di attesa, di una Medicina del singolo medico con il singolo paziente.
Ora però tocca a lei, quali i punti del suo programma?
Un’evoluzione nella continuità: affrontare questi stessi temi, essendo al passo con i tempi. E un’evoluzione anche nel senso di consegnare alle nuove generazioni di medici, che sono già molto mature, ruoli di responsabilità e di dirigenza. Ciò dovrà avvenire nel corso dei prossimi 3 anni, in quello che definirei un “mandato ponte”, di passaggio da una fase storica importante a una fase in cui i giovani di oggi, cioè gli under 45, già inseriti in buona misura nella giunta e nell’assemblea di Simg, assumano progressivamente ruoli di dirigenza anche della Medicina Generale italiana.
Coraggio, Fiducia, Rispetto. Sembrano essere i pilastri dell’azione del medico di famiglia a cui lei si è ispirato e a cui vuol far tendere le nuove generazioni, sempre più restie ad approcciarsi alla professione
Questi tre termini sono rappresentativi del nostro tempo. Ci vuole coraggio a intraprendere la carriera di Medico di Medicina Generale in Italia, poiché non sono tempi favorevoli. Il momento difficile è testimoniato dal fatto che esiste una carenza di personale medico e che gli accessi alle scuole di specialità sono più bassi dei numeri previsti. Occorre coraggio, sì, ma senza altri elementi può risultare temerario, non foriero di buone cose.
Quindi occorre fiducia nel fatto che la Medicina Generale possa offrire nuove soluzioni, anche dal punto di vista organizzativo, dal proprio interno, naturalmente con il riconoscimento indispensabile delle Istituzioni. Stiamo lavorando, ad esempio, ad una proposizione di “case di comunità spoke” che, rispetto a quanto previsto dal PNRR, mantengano le caratteristiche di prossimità per la popolazione, offrendo – al tempo stesso – dei contenitori, quindi studi medici, con strumenti diagnostici, tecnologici, informativi, al passo con i tempi. Serve fiducia, infine, nel fatto che le Istituzioni si rendano conto che le cure primarie sono il pilastro – non solo a parole, ma nei fatti – di qualsiasi sistema del Servizio Sanitario Nazionale che abbia una sua sostenibilità, principio che è dato proprio dalle cure primarie. Nel mondo, non esistono cure primarie senza servizi sanitari pubblici e universalistici, e non esistono cure primarie senza una configurazione di quadro generale del Servizio Sanitario Nazionale. Le Istituzioni si dovrebbero rendere conto di questo, che è un passo ineludibile e che in termini di produzione di salute e di risparmio nell’assistenza alla popolazione, le cure primarie non possono essere eliminate o rese sussidiarie ad altri interventi.
Passiamo ad un altro grande tema: la formazione. Lei è stato Professore incaricato di Medicina Generale all’università di Perugia. Università e scuole di specializzazione sono in grado di reggere l’urto e formare i medici del domani? Entro quanto si potranno recuperare gli errori di programmazione di questi anni?
Esiste un problema di formazione pre laurea e di formazione post laurea.
La formazione pre laurea ha individuato negli ultimi anni, se pur a macchia di leopardo, l’insegnamento della Medicina Generale come curriculare e non opzionale: questo consente di allargare il campo di visuale degli studenti che, storicamente, individuavano la medicina come specialistica e ospedaliera. Insegnare la Medicina Generale significa togliere questo scotoma dalla visuale degli studenti e far capire che l’assistenza primaria e le cure territoriali sono la gran parte della medicina organizzata in qualsiasi Paese. La maggior parte delle attività sanitarie si svolgono e si fondano al di fuori dell’Ospedale. Questo è un passo in avanti ma non sufficiente, e rimanda alla formazione post laurea che – naturalmente – deve essere riformata. Credo che si debba andare il più velocemente possibile verso una forma di uniformazione, che in qualche modo veda la specialità della Medicina Generale al pari di tutte le altre, inquadrata in un curriculum universitario. Ciò, naturalmente, lasciando alla Medicina Generale la potestà dell’insegnamento della materia stessa.
Domanda a bruciapelo: numero chiuso o numero aperto alla facoltà di medicina?
Parlerei piuttosto di numero programmato. C’è stato un collo di imbuto molto pesante negli anni scorsi, che ha portato alla catastrofe della insufficienza del numero dei medici. I dati Istat ci dicono che si sta progressivamente allargando sia l’accesso alle facoltà mediche sia, ancora di più, il numero dell’accesso alle scuole di specialità: questo è un buon segnale. Ci sono, però, altre proiezioni che ci dicono che, se non programmiamo bene questo tipo di accessi, cosa che non è avvenuta nel passato, probabilmente nel 2030 avremo di nuovo una pletora medica. Significa che per ciascun comparto, a cominciare da quelli che più soffrono, come la medicina di emergenza-urgenza e le cure territoriali, si passi a un numero che sia congruo e programmato per i tempi, e che consenta alle università e alle scuole di specialità di svolgere un’attività sostenibile. Un numero programmato senza limiti pone in difficoltà l’università e non consente una attività didattica efficace, quindi con livelli più bassi di qualità dell’insegnamento.
Nelle sue ultime interviste ha parlato molto dei giovani, dell’inserimento del mondo del lavoro e della necessità di lavorare non per una “next generation”, ma per una “today generation”. Quali strumenti suggerisce di utilizzare?
All’interno della Simg stiamo promuovendo un passaggio di responsabilità, perché quello che abbiamo notato negli ultimi anni è una sorta di fuga legata alla paura di iniziare la professione senza protezioni, senza reti. Faccio un esempio: tanti colleghi sono stati immessi nella professione prima ancora della fine del triennio di specializzazione. Ciò ha portato, da una parte, a una insufficiente formazione, e dall’altra – parallelamente – il fatto che si siano trovati in una realtà di cui non avevano conoscenza: è il frutto di una mancanza di programmazione e di una mancanza di collegamento tra la formazione e il campo del lavoro. Su questo dobbiamo lavorare moltissimo, Simg e associazioni sindacali, con l’obiettivo che siano garantiti un’adeguata formazione e l’inserimento in una struttura lavorativa che non veda da solo, a mani nude, il singolo medico.
Dottor Google, ricette elettroniche, farmacie dei servizi, visite su whatsapp. Come è cambiata la professione? Come dovrà essere il medico di famiglia del domani?
La pandemia ha fatto da detonatore e da straordinario acceleratore di alcuni processi che erano già, in qualche modo, in programma. Mi riferisco alla diminuzione dei contatti fisici con il Medico, con un conseguente aumento dell’utilizzo accorto di una serie di strumenti, come la televisita o la telemedicina, che devono essere potenziati. Ancora, ci sono state delle facilitazioni, come la ricetta elettronica, imposte dal Covid. E altri strumenti che stiamo cercando di perfezionare e di evolvere, di rendere più coerenti con i bisogni della Medicina Generale, come le app e gli strumenti informativi. In questo modo, i pazienti, che devono essere responsabilizzati (il cosiddetto empowerment del paziente), saranno comunque facilitati nel contatto con il medico, nell’accesso alle strutture, nella programmazione, nella richiesta di accertamenti e di visite. Esiste, dunque, un management della professione anche in termini tecnologici e informativi. Quando parliamo di case di comunità spoke, parliamo di posti in cui ci sia un ampio spazio per questo tipo di tecnologia, che arriva in soccorso del lavoro del medico. Un lavoro che, altrimenti, diventerebbe insostenibile in termini di richiesta da parte di una popolazione che invecchia, che ha sempre più disabilità e malattie croniche. Una popolazione che chiede a tutti i livelli, dalle cure primarie agli ospedali, assistenza sempre maggiore: dobbiamo, quindi, avvalerci degli strumenti evoluti per selezionare, modulare, facilitare il processo assistenziale.
Riforma dell’assistenza territoriale e medicina di prossimità: i Medici di Medicina Generale avranno un ruolo chiave, insieme a farmacisti e specialisti. È d’accordo con il segretario generale di Fimmg Scotti che denuncia, in questa opera di ristrutturazione del SSN, il mancato coinvolgimento di chi, come i medici di medicina generale, effettivamente eroga i servizi?
Sono assolutamente d’accordo. Troppi cambiamenti, troppi dispositivi legislativi, troppi interventi, per la maggior parte di tipo burocratico-normativo e poco sostanziale, sono stati calati dall’alto: lo stesso PNRR, che è il frutto di situazione emergenziale, è stato pensato essenzialmente come un aumento dei contenitori (vedi le case di comunità), e non dei contenuti della professione e dei processi assistenziali, sui quali non può esserci un cambiamento senza un coinvolgimento diretto della professione stessa.
Nel corso della sua esperienza si è occupato di Antibiotico-resistenza, la nuova pandemia di domani. Siamo attrezzati? Come prevenirla?
Negli ultimi tempi rapidamente in tutti i settori della sanità e, in parte, nella popolazione, questo tema – fino a poco fa sconosciuto – si sta affermando. Il prossimo G7 metterà tra i punti all’ordine del giorno proprio la lotta all’antibiotico-resistenza: una testimonianza che le Istituzioni si sono rese conto della crucialità dell’argomento. I numeri ci dicono che, se non mettiamo in campo delle azioni concrete per la prevenzione, nel 2050 i morti per infezioni resistenti agli antibiotici saranno superiori ai morti per qualunque altra causa. C’è una crescita di consapevolezza, cui però devono essere conseguenti delle azioni, che riguardano l’assistenza ospedaliera, la prevenzione delle infezioni correlate all’assistenza, quindi i processi di igienizzazione, di aumento di qualità e sicurezza all’interno delle strutture ospedaliere. Ma, soprattutto, un uso cauto e prudente degli antibiotici, che riguarda trasversalmente tutta la medicina, umana e veterinaria: un approccio “one health” deve essere cogente. Significa un non uso degli antibiotici per quanto riguarda l’agricoltura e la zootecnia, insieme a un uso prudente degli antibiotici per la pratica clinica quotidiana. Ogni volta che si prescrive un antibiotico ci deve essere una forte motivazione: sono l’unica classe di farmaci che, se usati impropriamente, oltre a creare un danno clinico ed economico, creano un danno ecologico e ambientale. La diffusione ecologica e ambientale dell’antibiotico-resistenza si diffonde proprio tramite ceppi resistenti conseguenti all’uso inappropriato dell’antibiotico. Ci auguriamo che questa consapevolezza possa portare ad azioni che vedano tutti gli attori al lavoro: i medici, i farmacisti (poiché in Italia c’è un uso degli antibiotici forse eccessivo rispetto ad altri Paesi e che parte proprio dalle farmacie), ma anche l’industria (per il confezionamento degli antibiotici), fino alla distribuzione. È un processo complesso ma necessario, da affrontare rapidamente e con consapevolezza.
Covid, influenza, epatite C, vaccini: questi i principali problemi della categoria. Come agire?
Mi preme sottolineare l’importanza della vaccinazione come strumento di salute pubblica. Viviamo in un momento in cui l’efficacia e la sicurezza dei vaccini è stata fortemente messa in discussione, sia da organizzazioni anti scientifiche sia dalla predominanza delle fake news sui social network. Come operatori sanitari, dobbiamo recuperare la capacità di parlare ai cittadini in termini comprensibili per sciogliere i loro dubbi. Le istituzioni sanitarie devono rafforzare e mettere al primo posto l’utilizzo dei vaccini come strumento di prevenzione, di promozione della salute e di assoluta sicurezza per la maggior parte delle malattie prevenibili con il vaccino, che sono molte e che saranno sempre di più.
La riscoperta della salute al centro dell’agenda politica: l’Italia è di nuovo protagonista con il G7. Cosa c’è nel futuro del nostro Paese?
Se (e voglio sottolineare il SE!) questo evento porterà a una consapevolezza complessiva di tutti gli Stati che la salute è l’elemento centrale di cui si devono far carico, per un sistema di protezione della popolazione e di welfare, e quindi se (e di nuovo sottolineo il SE!) questo rimetterà al centro dell’agenda politica il sistema salute, ne sarò felice. Non ne sono del tutto convinto, ma me lo auguro. La pandemia ci ha ricordato che questa non sarà l’ultima, e nei confronti della prossima dovremo essere preparati: questo significa avere delle infrastrutture, dei sistemi e delle procedure pronti a queste nuove sfide. Se il G7 contribuirà a questo, ben venga, sarà molto importante.
Medici e infermieri erano gli eroi del Covid: è ancora così?
No. Nei momenti in cui ci dipingevano come eroi, ebbi a dire che sarebbero bastati pochi anni perché tutti se ne sarebbero dimenticati: sono stato ottimista. Ci sono voluti pochi mesi. Dobbiamo operare un processo di restituzione dei valori professionali adeguati, cioè di come alcune figure professionali debbano essere considerati nella scala dei valori sociali, a cominciare da quelli sanitari. Se non facciamo questo, e non si tratta solo di sociologia, ma di legislazione e di normative, allora la marea dei social e delle calunnie prevarrà sulla fiducia dei cittadini. La fiducia nei confronti del proprio Medico di famiglia è ancora molto alta, i cittadini mettono il Medico di Famiglia ai primi posti del gradimento e della fiducia: questo dà a noi fiducia nel futuro. Ma in generale va restituita dignità, decoro e centralità alla professione.
Strumenti come lo scudo penale o i provvedimenti per arginare il fenomeno della violenza contro il personale sanitario possono essere utili per ridare dignità alla professione?
Sì. Lo scudo penale è proprio questo, e siamo tra i pochi Paesi che ancora ha una responsabilità penale per l’atto sanitario. E servono anche delle norme che mettano in sicurezza chi esercita la professione medica e infermieristica. Gli atti di violenza cui assistiamo quotidianamente sono intollerabili.
La nostra è la popolazione più anziana d’Europa, seconda nel mondo solo al Giappone. Alcuni giorni fa sono state presentate all’Istituto Superiore della Sanità le linee guida sulla valutazione multidimensionale del paziente anziano: cosa significa in termini di innovazione? Come potranno migliorare le cure?
Voglio ricordare con orgoglio che le linee guida sono state ideate e promosse da Simg, sono state condivise da 15 società scientifiche e poi adottate dall’Istituto Superiore di Sanità. Quindi è un grande successo di Simg, dal punto di vista formale ma anche sostanziale. Saranno molto utili, perché promuoveranno e aiuteranno una valutazione appropriata di tutti quei pazienti che hanno una o più cronicità avanzate, che mostrano elementi di fragilità. Una valutazione multidimensionale, con una indicizzazione secondo score e dei percorsi assistenziali proporzionati e coerenti, a fronte di una popolazione che sta crescendo molto in termini quantitativi.