Il diabete mellito di tipo 1 è una patologia cronica, autoimmune, dipendente da un’alterazione del sistema immunitario, che comporta la distruzione di cellule dell’organismo riconosciute come estranee e verso le quali vengono prodotti degli anticorpi che le attaccano.
Nel caso del diabete di tipo 1, vengono distrutte le cellule del pancreas che producono insulina, ormone che regola i livelli di glucosio nel sangue, una sorta di chiave che permette l’ingresso dello zucchero nelle cellule per essere usato come energia. Il diabete di tipo 1 rappresenta circa il 10% dei casi di diabete. È detto anche diabete giovanile o insulino-dipendente, per distinguerlo dal tipo 2. Si sviluppa in genere durante gli anni dell’adolescenza, ma può comparire anche in bambini neonati o in giovani adulti e dura tutta la vita.
In Italia le persone con diabete di tipo 1 sono circa 300.000 e l’incidenza di questa patologia è in aumento in tutto il mondo, soprattutto in età pediatrica.
Abbiamo commentato questi dati con il professor Valentino Cherubini, Presidente della Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica.
Professore, quali sono i numeri in Italia per quanto riguarda l’età pediatrica? E’ una patologia in aumento?
Le misurazioni più accurate e su vasta scala dell’incidenza del diabete tipo 1 partono dalla fine degli anni ’80. Le osservazioni confermano un aumento costante dell’incidenza in età pediatrica. Durante la pandemia da COVID e subito dopo si è registrato un incremento molto significativo, misurabile in + 27%.
Il diabete è una malattia invalidante e quindi diventa importante parlare di accesso alle cure in età pediatrica. Quale è la situazione in Italia, anche rispetto al resto d’Europa e gli Usa?
La cura dei minori con diabete tipo 1 richiede un trattamento multidisciplinare, composto da un team di specialisti che comprendono pediatri, infermieri, dietisti, psicologi ed educatori, tutti specializzati e con larga esperienza. Se ci riferiamo a standard internazionali che valutano il fabbisogno di personale sanitario sulla base della casistica di minori con diabete in cura, in Italia c’è carenza di personale quantificabile in circa 50% di pediatri diabetologi, 80% di infermieri, 70% dietisti e 80% di psicologi.
A differenza della Diabetologia dell’adulto che, oltre alla gestione nei centri specializzati, può e deve avere ospitalità e somministrazione delle cure in periferia per la grande numerosità dei casi, la diabetologia pediatrica ha bisogno di strutture regionali qualificate e dotate di tutto il personale necessario che può anche operare, periodicamente, nel territorio in un modello di cura “transmurale”. Modello che potrebbe prevedere anche ambulatori delocalizzati da condursi una/due volte al mese da parte del personale del centro regionale che si sposta. Questo modello sarebbe economico, in quanto utilizzerebbe strutture già esistenti nel territorio e non richiederebbe ulteriore personale periferico e, al tempo stesso, assicurerebbe qualità delle cure perché il personale è qualificato e continuamente attivo nel settore disciplinare.
Le nuove tecnologie – parliamo di sistemi integrati connessi e, quindi, di sistemi ibridi che prevedono misuratore di insulina e infusore dialoganti tra loro – stanno avendo un impatto molto importante sulla qualità di vita dei pazienti e dei caregiver. Come funzionano?
I sistemi AID (automated insulin delivery systems) sono stati introdotti nella pratica clinica dal 2020 e hanno rapidamente migliorato gli outcome metabolici e la qualità della vita. Permettono inoltre di utilizzare la telematica come strumento per la loro ottimizzazione.
Telemedicina e monitoraggio a distanza, il futuro passa dunque da qui. In Italia, stando agli ultimi dati, il 9% sul totale dei pazienti ha accesso ai sistemi integrati, una percentuale che andrà alzata se si vuole sfruttare a pieno i vantaggi della digitalizzazione del percorso di cura. Professor Cherubini, quali sono, secondo lei, le applicazioni pratiche da cui si potrebbe trarre il maggiore vantaggio?
La tecnologia ha rivoluzionato la cura del diabete non solo per il miglioramento di outcome ma anche perché ha assegnato alla telemedicina un ruolo primario.
In pediatria, l’utilizzo di device che permettono controlli da remoto è aumentato progressivamente. I device sono collegati a cloud che permettono controlli a distanza sia al medico curante che ai famigliari che assistono i bambini.
Tuttavia, è bene ricordare che non tutto può essere risolto a distanza, il bambino con diabete e la sua famiglia hanno necessità di un rapporto personale che non può essere tralasciato. Inoltre è necessario sottolineare che la telemedicina permette alle famiglie e ai pazienti di ridurre i disagi e gli spostamenti ma non limita il tempo che i sanitari devono dedicare all’assistenza. Quindi si deve subito eliminare il possibile fraintendimento che telemedicina è equivalente a risparmio di personale sanitario. Altro aspetto da considerare nella telemedicina è quello della valorizzazione delle prestazioni. Senza tutte queste considerazioni parlare di telemedicina in diabetologia pediatrica rischia di essere un esercizio linguistico povero di capacità applicative.