Sono quotidiane ormai le aggressioni verbali e fisiche ai danni dei colleghi medici e dirigenti sanitari. Le notizie che emergono all’onore delle cronache sono solo quelle più gravi e drammatiche, e rappresentano appena la punta dell’iceberg di una situazione preoccupante, diffusa e costante di aggressioni, che crea un clima di paura sul posto di lavoro per molti colleghi, e soprattutto colleghe.
Siamo ormai in un vero e proprio stato di emergenza e l’escalation non sembra fermarsi.
Le aggressioni, però, rappresentano l’epifenomeno di un mutato rapporto medico-paziente: il cittadino non riconosce più il medico quale punto di riferimento come accadeva invece 20 anni fa. Questo è il prodotto della destrutturazione in atto da 15 anni del nostro sistema sanitario in cui il medico è diventato gradualmente capro espiatorio di un accesso alle cure sempre più difficile per i pazienti.
Per riportare la situazione a livelli accettabili è necessario finanziare il SSN. I tre miliardi in più sul FSN dell’ultima legge di bilancio non bastano assolutamente. Non bastano, per esempio, ad aumentare i posti letto per acuti e cronici, a riorganizzare il territorio, ad assumere personale. Perché certamente è necessario aumentare gli organici per avere più tempo per la comunicazione con i parenti, più tempo per la cura dei pazienti, meno attese nei Pronto Soccorso.
È inoltre necessario che i medici siano protetti, soprattutto nei Pronto Soccorso più a rischio, da personale addetto alla sicurezza. È paradossale che i medici debbano difendersi da coloro di cui si prendono cura.
Questa aggressività purtroppo è anche fomentata da un dibattito pubblico violento, soprattutto sui social, con l’amplificazione di casi di presunta malasanità e da studi legali speculativi, che attuano un vero e proprio sciacallaggio nei confronti del personale sanitario, invogliando a fare cause che nel 97% dei casi si concludono con un nulla di fatto.
Di recente l’Anaao ha promosso un sondaggio dal quale sono emersi alcuni dati significativi. Anzitutto il fenomeno è in aumento con l’81% dei colleghi che ha subito aggressioni fisiche o verbali. Un problema sentito maggiormente dalle colleghe (60%). Inoltre, benché tutte le discipline siano coinvolte dal fenomeno, sono due quelle a maggior rischio di aggressione: pronto soccorso e psichiatria.
Nei dipartimenti di emergenza, sono soprattutto i parenti ad aggredire il personale, dove le ben note attese spesso slatentizzano violenza e frustrazioni represse. Quindi il sovraffollamento, la carenza di posti letto e di personale contribuiscono a istigare comportamenti aggressivi, dove il medico non viene più visto come colui che si prende cura ma colui che colpevolmente trascura.
Nei reparti di psichiatria è il paziente ad aggredire, in condizioni di acuzie psicopatologica, quando non è ancora compensato dalla terapia farmacologica, o di una condizione di intossicazione da sostanze. Negli ultimi anni le diagnosi psichiatriche sono significativamente aumentate mentre in parallelo i medici psichiatri sono diminuiti e sono stati chiusi servizi territoriali, con gravi carenze in tutte le regioni e frequenti dimissioni spontanee dei colleghi.
Ma il dato ancor più allarmante è che ben il 69% dei sanitari non denuncia l’aggressore.
La mancata denuncia è indicativa purtroppo di una diffusa sfiducia. Gli aggrediti si arrendono per il carico emotivo e di tempo di una denuncia, che li esporrebbe a spese legali, udienze in tribunale magari ulteriori minacce da parte dell’aggressore.
Ma anche grazie alla costante azione dell’Anaao, una delle nostre richieste è diventata realtà. Il recente decreto legislativo 19 marzo 2024, n. 31 ha reso possibile procedere d’ufficio anche nel caso di lesioni personali ai professionisti sanitari sia che si tratti di lesioni lievi sia gravi o gravissime, indipendentemente quindi dalla volontà della vittima di sporgere querela. È un ulteriore passo in avanti a tutela dei colleghi vittime di aggressioni e violenze nell’esercizio delle loro funzioni. Ed è anche la dimostrazione che la nostra pressante azione inizia a dare i frutti concreti.
Una cosa per noi è certa: non possiamo esercitare una professione così delicata e impegnativa in un clima di paura costante anche solo di entrare in ospedale.
È necessario che medici e pazienti piuttosto si uniscano per chiedere il finanziamento della sanità pubblica, e che si difendano non gli uni dagli altri ma insieme da chi la vuole smantellare.