In origine fu Piero Angela e poi suo figlio Alberto. La divulgazione della conoscenza non è mai stata tanto pop.
Prima furono i programmi televisivi, poi i canali YouTube, l’avvento dei social, e giù a cascata il popolo di nuovi divulgatori in ogni area del sapere. Divulgatori che hanno – ciascuno – una propria comunità di giovani seguaci, assetati di conoscenza, attenti al mondo che li circonda, giovani con dei valori e con la voglia di reagire alle ingiustizie del loro tempo.
Quindi, la Generazione Z è davvero così pigra come viene definita? La risposta è no. I nativi digitali sono la dimostrazione che uno schermo di 19 pollici e i social network hanno (anche) un lato positivo. Sono, questi, il tramite per cercare informazioni e approfondimenti. Dalla storia di Alessandro Barbero e Alberto Angela alla scienza di Marco Martinelli e Barbascura X, passando per il vero volto dei cosmetici di Beatrice Mautino, fino alle questioni ambientali di Entropy for Life.
Divulgare la scienza, spiegare i processi che stanno alla base di un esperimento o l’evoluzione, contrastare bufale e fake news, combattere la disinformazione. E’ il compito dei nuovi “influencer scientifici”. Ne abbiamo parlato con Marco Martinelli, personaggio poliedrico conosciuto come @marcoilgiallino, più di 350K di followers, che con i suoi esperimenti in laboratorio della durata di 60 secondi racconta la chimica con semplicità. Ma attenzione a non confondere la semplicità con l’approssimazione e il pressapochismo.
“Su TikTok la divulgazione diventa edutainment all’ennesima potenza. Quello dei social è un mondo vasto in cui la comunicazione scientifica si ibrida con tante modalità: dalla chimica in laboratorio, alla scienza brutta, dalla serietà di una lezione o video divulgativo in graphic animation a una divulgazione scientifica fatta di comicità o di canzoni a tema scientifico. La comunicazione veloce, entusiasta e leggera non ha solo aspetti positivi. Possono sorgere alcune problematiche a cui prestare attenzione. La prima fra tutte è “l’easyness of science”: è giusto semplificare, ma è altrettanto giusto comunicare la complessità”, ha spiegato Marco Martinelli a One Health.
Dunque, la narrazione scientifica è cambiata: più pop, sì, ma allo stesso tempo più coinvolgente, stimolante e fruibile.
Si può fare divulgazione scientifica sui social?
La risposta è sì.
In quale modo?
In tantissimi modi differenti.
I social si stanno trasformando in un mezzo per fare informazione e divulgazione, ed ogni tipologia di social ha le sue peculiarità. Se su Twitter troviamo ricercatrici e ricercatori che fanno dibattiti tecnici o condividono l’ultima ricerca pubblicata, su YouTube si spazia dalle lezioni di fisica per studenti del liceo fino ai documentari. Se su Instagram troviamo racconti fotografici e reel esplicativi, su TikTok la divulgazione diventa edutainment all’ennesima potenza.
Può farci degli esempi?
Quello dei social è un mondo vasto in cui la comunicazione scientifica si ibrida con tante modalità: dalla chimica in laboratorio di Neil Red, alla scienza brutta di Barbascura. Dalla serietà di una lezione o video divulgativo in graphic animation a una divulgazione scientifica fatta di comicità o di canzoni a tema scientifico.
Per immergersi a pieno nelle modalità, comprendere le tecniche e magari impostare una divulgazione social efficace è importante studiare i casi di successo e riflettere insieme su alcune questioni.
Se dovesse consigliare dei profili di divulgatori scientifici da seguire, chi non dovremmo perderci?
Per capire come funziona, bisogna letteralmente immergersi. Il mio profilo è @marcoilgiallino. Ed ecco una lista di profili assolutamente da seguire per avere ispirazione e capire meglio come funzioni la divulgazione sui social e in particolare su TikTok.
Dario Bressanini (@dario.bressanini)
Beatrice Mautino (@divagatrice)
Giamo Mauretto (@entropyforlife)
Alessandro (@chimicazza)
Ruggero Rollini (@ruggerorollini)
Stefano Bertacchi (@stefanobertacchi)
Barbascura X (@barbascura)
Luca Bellagamba (@luca_bellagamba)
Chiara Di Pietro (@unaginecologaperamica)
Marilù Casini (@marilucasini)
Alberto Giannone (@divulgamente)
Matteo Albrizio (@scienzaedintorni)
Vittorio Baraldi (@astro_viktor)
Simone Gabrielli (@dottsimonegabrielli)
Samantha Cristoforetti (@astrosamantha)
Vincenzo Schettini (@lafisicachecipiace)
Influencer o content creator?
Dal boom di Chiara Ferragni, quando parliamo di social e di comunicazione pensiamo subito all’influencer, figura discussa, chiacchierata, odiata e amata.
L’influencer nella sua definizione è qualcuno che usa il suo carisma ma soprattutto il grande numero di follower per consigliare e quindi influenzare le scelte dei suoi seguaci. L’influencer marketing è divenuto un metodo “goloso” per molte aziende che attraverso pagine di tutte le tipologie veicolano prodotti di ogni tipo. Non solo aziende ma anche enti pubblici, università private e pubbliche, persino gli Uffizi di Firenze hanno ricorso a questo metodo.
Mentre il creator o content creator?
È letteralmente colui che crea contenuti, una figura che include l’influencer ma lo supera nel momento in cui i suoi video o le sue foto non sono solo promozionali, cercando invece di fare informazione oppure indurre una riflessione o semplicemente divertire.
I divulgatori scientifici che popolano YouTube, Facebook, Instagram, TikTok e Twitch fanno parte di questo gruppo, ma troviamo anche attori, conduttori, personaggi e persone, soprattutto studenti e studentesse Gen Z che dalle loro camerette hanno generato milioni di seguaci intrattenendo il pubblico attraverso format divertentissimi, video di cucina, video di make up o riflessioni di filosofia.
La figura del content creator è multidisciplinare: per esserlo è necessario avere competenze nella materia di cui si parla. Nel caso della divulgazione scientifica non guasta avere un background scientifico, ma anche avere capacità da grafico, attore, musicista e regista.
Da cosa dipendono il successo o l’insuccesso della strategia e del divulgatore stesso?
In primis dalla qualità del contenuto che viene proposto, da quanto è originale, ma “soffre” anche dell’opinione del pubblico. La personalità del creator diviene quindi un driver importante e determinante per il successo del profilo, anche nell’ambito divulgativo: viene più visualizzato e diviene più virale chi riceve più like, più condivisioni, commenti o in generale interazioni.
Si può stare sui social anche senza essere un content creator?
Sì, ma creando e gestendo una pagina. Un esempio ben costruito su TikTok? Quelle dell’@instituteofhumananatomy e della @Fao.
Anche in questo caso il contenuto ha la precedenza ma, esattamente come nei creators, la modalità di racconto è essenziale: quando è nuova, originale, segue tendenze e, soprattutto, fa tendenza, allora la pagina esplode. Si possono fare contenuti raccontati in grafica, attraverso video con voice over, oppure si può chiedere ad altri “colleghi del web” conosciuti o sconosciuti di partecipare ai video che saranno inseriti sul profilo, così da metterci la faccia.
Come si crea la propria community?
In questo tema di forte personalizzazione della comunicazione, le pagine personali di content creators tendono ad avere una crescita più rapida: è più facile affezionarsi a una persona rispetto ad un museo o un ente pubblico e, conseguentemente, se la persona piace e magari prende posizioni divisive, la community si forma più rapidamente.
La personalizzazione della comunicazione risente però di molti lati negativi, primo fra tutti il rischio di associare l’immagine di un museo o di un’università ad un creator che può, per motivi lavorativi o ideologici, inficiare la credibilità della pagina stessa.
Quando si lavora con le pagine è bene creare sempre piani editoriali differenziati, con tipologie di format diversi e mai affidarsi ad un solo creator: ne servono almeno due.
Come fare divulgazione su TikTok con successo?
Partiamo col dire che non c’è una ricetta, ma ci sono molti elementi, che troviamo nei video che vanno più virali, nelle pagine più seguite e nei creators più amati.
L’universalità. Kaby Lame insegna che un gesto e un’espressione facciale può divenire una delle cose più virali al mondo. Essere universali e quindi usare l’inglese oppure fare video muti con sola musica può essere una chiave divulgativa.
Il contenuto del TikTok. Se parliamo di temi attuali, come ad esempio l’emergenza nucleare oppure la crisi climatica, i video saranno visti con interesse, e questo ne determinerà una maggiore probabilità di successo.
Il gancio iniziale del video. Partire con una domanda, ad esempio “3 modi per abbattere le bollette di casa” oppure “3 nuove tecnologie per la cura del cancro”, è una scelta editoriale interessante, perché costringe lo spettatore a vedere tutto il video.
Usare un buon telefono e un buon microfono. I video nei quali si sente poco o che sono respingenti in termini di luce e visual tendono ad avere meno successo.
Usare musiche di tendenza e creare un montaggio serrato e ritmato.
Condividere, commentare, seguire. Verso la fine o a circa metà del video, chiedere di condividere, commentare e seguire la pagina può essere utile per creare la tua community.
Fare network. Con gli altri divulgatori e le altre pagine, così da poter poi fare dirette Live insieme o video in collaborazione.
Ci sono anche dei rischi della comunicazione social? Qual è il lato oscuro di questo mondo?
La comunicazione veloce, entusiasta e leggera non ha solo aspetti positivi. Possono sorgere alcune problematiche a cui prestare attenzione. La prima fra tutte è “l’easyness of science”: è giusto semplificare, ma è altrettanto giusto comunicare la complessità. Rendere la scienza troppo semplice può condurre in errore gli inesperti e far passare messaggi sbagliati. Su TikTok c’è stata una grande attenzione anche in termini di controllo della sicurezza. Poiché molti video sono trend come #imparacontiktok o #howtodoit, tutti quegli esperimenti svolti a casa che possono avere passaggi pericolosi vengono etichettati in modo da avvisare l’utente di non replicare l’esperienza o di farlo solo in compagnia di un esperto.
Anche l’uso delle parole va attentamente calibrato: dire “masks help” o “masks work” ha un significato enormemente diverso. Le mascherine aiutano a proteggerci dal Covid ma non evitano al 100% di contrarlo. Usare le parole giuste e più appropriate è il miglior modo di non creare confusione o disinformazione. Altre problematiche sono il trade off tra l’essere virali e la qualità di quello che si dice, oltre al tema spinoso delle collaborazioni retribuite in ambito divulgativo. La prima la risposta è semplice: come divulgatori non possiamo permetterci di dire sciocchezze ed è bene pensare a come costruire un video, ma anche le possibili interpretazioni che le nostre parole possono avere sull’opinione pubblica. Mentre il secondo punto è più controverso da sviscerare. Non essendoci ancora un codice etico del divulgatore, ad oggi, ci si rimette alla coscienza del singolo. E’ giusto usare la scienza per promuovere un prodotto? Se è un vaccino di provata efficacia forsi sì, e se fosse uno shampoo bio?
Quali soluzioni?
A tutte queste domande servirebbe rispondere attraverso un’azione di categoria: dovremmo creare una comunità e darci delle regole per i social.
A questo sta pensando il gruppo di Frame Divagazioni, che ogni anno organizza a Strambino “Folle di Scienza”, un ritrovo selezionato di divulgatrici e divulgatori con il fine di conoscerci, confrontarci e darci delle linee guida in questi tempi di grandi incertezze e cambiamenti rapidi.