Sono giorni storici per la trapiantologia. Avanza, infatti, la frontiera degli xenotrapianti, ovvero organi di altri esseri viventi usati per l’uomo, con la notizia dei due trapianti di organi di maiale, uno di fegato, geneticamente modificato, impiantato in Cina su un cinquantenne clinicamente morto e l’altro di rene, anch’esso geneticamente modificato, eseguito a Boston in un uomo in vita di 62 anni e affetto da una malattia renale terminale.
I ricercatori cinesi dell’Università medica dell’aeronautica militare di Xi’an hanno sottolineato che il fegato di maiale ha prodotto più di 30 millilitri di bile ogni giorno, fattore che dimostra che “funzionava regolarmente”, e prima di essere rimosso chirurgicamente “non ha mostrato segni di un rigetto d’organo immediato”. Per quanto riguarda il rene invece, secondo il New York Times, i segnali finora sono promettenti: l’organo ha iniziato a produrre urina poco dopo l’intervento e le condizioni del paziente continuano a migliorare, riferisce il Massachusetts General Hospital.
Quest’ultima, un’operazione mai stata eseguita prima. «La vera notizia è che questo tipo di trapianto sia stato fatto su un paziente in vita», spiega a One Health, il professor Luciano de Carlis, Direttore del Niguarda Transplant Center.
«Qualche mese fa – precisa ancora il professore – proprio per verificare la fattibilità dell’intervento, il Professor Robert Montgomery, pioniere dei trapianti di rene negli Stati Uniti, ha eseguito un trapianto di rene da maiale geneticamente modificato su un paziente deceduto (in morte cerebrale ma a cuore ancora battente, grazie alle macchine). La sperimentazione ha funzionato e con un buon esito, permettendo così di eseguire lo stesso tipo di trapianto ma su un paziente in vita».
La scienza dunque sta facendo passi da gigante. Quale è lo stato dell’arte nel nostro Paese?
Già da diversi anni vengono condotte sperimentazioni con animali geneticamente modificati. In Italia, il professor Raffaello Cortesini (scomparso recentemente, 21 marzo 2024, ndr), pioniere nel campo dei trapianti, aveva prodotto in laboratorio dei fegati da maiali geneticamente modificati. L’applicazione clinica, però, è sempre stata molto poco efficace, a causa di importanti barriere: di tipo infettivologico, poiché questi animali possono contrarre infezioni troppo rischiose per l’uomo, di tipo genetico, poiché nonostante le modifiche fatte in laboratorio i geni del maiale e dell’uomo non sono perfettamente identici, di alimentazione (la dieta dell’uomo e del maiale differiscono molto). Sul rene i risultati sono stati buoni: si può, quindi, immaginare un’applicazione enorme su tutti i pazienti che necessitano di trapianto.
Le barriere di cui parla possono essere un deterrente per gli scienziati a tal punto da farli desistere nelle loro attività di ricerca?
Personalmente, sono assolutamente favorevole a questi passi in avanti enormi della scienza. Sono, però, convinto che esistano ancora diversi ostacoli per poter fare trapianti di questo genere: non dimentichiamo che, così facendo, andiamo contro natura, siamo di fronte a due specie diverse. Barriere di specie: non possiamo conoscere quale sarà a distanza di anni la reazione immunologica, o se ci sarà rigetto, però la portata innovativa è interessante, e può dare dei risultati eccellenti. Quello che non sappiamo è come reagiranno nel tempo questi organi.
In entrambi gli interventi si parla di modifica genetica. Addirittura nel caso del fegato ne sono state eseguite sei.
Precisiamo che la modifica non viene fatta sull’organo di interesse, ma sull’animale: vengono modificati i geni di compatibilità per rendere il DNA dell’animale simile o uguale a quello dell’uomo. Il problema è che vengono modificati i geni che conosciamo, non è certo che il genoma sia lo stesso dell’uomo (non c’è identità immunologica, solo somiglianza). Conosciamo infatti quali sono i geni responsabili del rigetto dell’organo e andiamo, per esempio, a modificare quelli.
Cosa ci aspetta nel prossimo futuro?
La scienza va avanti, e si possono fare nuovi passi in direzione di una sempre migliore modifica del genoma dell’animale, rendendolo quanto più simile possibile all’uomo. Ricordiamo che quello immunologico è solo uno degli aspetti. Possono esserci infezioni portate dall’animale (che potrebbe essere immune) all’uomo (non immune), l’animale deve essere sempre più testato: si pensi, ad esempio, alle differenti abitudini metaboliche fra organi (dell’uomo e dell’animale), l’alimentazione, specifici virus.
E’ previsto il coinvolgimento di altre specie animali e quali altri organi potrebbero essere interessati?
Ci sono state sperimentazioni su pecore e scimpanzè, che però non sono andate a buon fine. Il maiale è il più studiato, più vicino all’uomo. Quando si riesce a manipolare il patrimonio genetico del maiale si può prendere qualunque organo. Il rene è più semplice. Siamo di fronte ad una situazione di sicurezza, perché nel caso di esito negativo dell’intervento non c’è il rischio di morte: c’è la dialisi. Verosimile che si stia, dunque, andando avanti in questa direzione.
E il nostro Paese a che punto è?
Anche l’Italia esegue sperimentazioni di questo genere, seppur non ancora dal punto di vista clinico. Non siamo secondi a nessuno, soprattutto nei trapianti: abbiamo dei record tutti nostri. Qualche anno fa abbiamo fatto il primo trapianto di fegato al mondo da donatore a cuore fermo. Perché il primo al mondo? In Italia la dichiarazione di morte viene fatta dopo 20 minuti di arresto cardiaco, altrove solo dopo 5-10 minuti. Venti minuti di arresto non sono sopportati dagli organi: grazie alle macchine di perfusione abbiamo riperfuso gli organi e usato i fegati. Adesso la metodica è utilizzata anche in Europa perché più sicura.
La notizia ha raccolto il plauso e l’entusiasmo, tra gli altri, del Centro Nazionale Trapianti e della Società italiana di nefrologia (Sin), che contestualmente hanno però lanciato l’allarme della necessità di trovare donatori. Sono circa 8mila i pazienti in attesa di trapianto.
L’Italia è al secondo posto in Europa per donazioni, subito dopo la Spagna. L’anno scorso abbiamo eseguito un numero di trapianti superiore del 20% rispetto all’anno prima: questo indica un’evoluzione importante. E trapiantiamo tutti gli organi. Possiamo, pertanto, sostenere con orgoglio che l’Italia non è certo il fanalino di coda di nessuno, anzi siamo fra gli Stati con più attività in Europa. Anche come numero di trapianti, l’Italia è un’eccellenza. Nel 2023, abbiamo fatto circa 1400 trapianti solo di fegato, circa 4000 tra fegato e cuore. Cifre straordinarie, con risultati fra i migliori al mondo. È chiaro, però, che il numero di pazienti che ha bisogno di trapianto è quasi il doppio rispetto al numero dei donatori disponibili. Quindi c’è ancora molto da fare. Senza dimenticare la disparità fra Nord e Sud, con il Nord che ha una donazione molto alta mentre il meridione è penalizzato sia per donatori che per numero di interventi.