Sono più di 50mila i medici che, negli ultimi anni, hanno deciso di lasciare l’ospedale pubblico in cui lavoravano. Ed in base ai risultati di un sondaggio promosso dalla Federazione CIMO-FESMED, il 72% dei camici bianchi che ancora lavorano in strutture pubbliche starebbe seriamente pensando di prendere la stessa decisione. Chi ha i requisiti, fa di tutto per anticipare la pensione; c’è chi si trasferisce all’estero; molti optano per strutture private, altri ancora preferiscono diventare medici di famiglia.
Un esercito in fuga da un Servizio sanitario nazionale profondamente in crisi, quindi, che non è più in grado di garantire ai professionisti che lo tengono in vita condizioni di lavoro accettabili. È dunque ovvio come, se non si trova un modo per invertire questo trend, la sanità pubblica sia destinata al fallimento.
Le ragioni del malcontento degli operatori sanitari
Le ragioni del malcontento sono numerose: stipendi estremamente più bassi rispetto alla media europea (secondo i dati OCSE un medico italiano guadagna, a parità di potere d’acquisto, il 70% in meno di un collega tedesco e il 40% in meno di un inglese); turni massacranti causati, nella maggior parte dei casi, dalla carenza stessa di personale, che impedisce ai medici di andare in ferie e li costringe a lavorare anche 60-70 ore a settimana e 7-8 notti al mese per coprire tutti i turni di servizio; possibilità di carriera pressoché nulle; continue aggressioni fisiche e verbali; la spada di Damocle di continui contenziosi, sia civili che penali, che portano ad aumenti sempre più insostenibili dei premi assicurativi ed a un ricorso sempre più importante alla medicina difensiva.
Ma oltre ai medici che fuggono ci sono i giovani che fanno di tutto per evitare di lavorare in determinati reparti e servizi, a iniziare dai Pronto soccorso: non è un caso, allora, se all’ultimo concorso per accedere alle Scuole di specializzazione il 70% dei posti in Emergenza-Urgenza sia rimasto vacante.
Trovare una soluzione a tali problemi, che renda nuovamente appetibile il lavoro nella sanità pubblica, non è affatto semplice. Alcuni temi, come il mancato rispetto dell’orario di lavoro, sono stati affrontati e in parte superati dal nuovo contratto, firmato da tutti i sindacati lo scorso 23 gennaio. Su altri il Governo si è impegnato a lavorare, riformando ad esempio il sistema della colpa medica o aumentando alcune voci stipendiali.
Le tre proposte della Federazione CIMO-FESMED
Come Federazione CIMO-FESMED, che nei confronti delle Istituzioni si è sempre distinta per un atteggiamento costruttivo e non solo critico, abbiamo individuato le tre priorità su cui occorrerà lavorare nel 2024, con l’obiettivo di frenare la fuga dei medici dagli ospedali pubblici: depenalizzazione dell’atto medico, eliminazione del tetto alla spesa per il personale sanitario e valorizzazione dell’indennità di specificità medica e sanitaria.
La depenalizzazione dell’atto medico
Solo in Italia, Polonia e Messico i medici rischiano un processo penale a causa del proprio lavoro. Per questo riteniamo prioritaria la depenalizzazione dell’atto medico, che consentirebbe ai colleghi di lavorare con maggiore serenità. Nonostante il 90% dei contenziosi si risolva in un nulla di fatto, il timore di un avviso di garanzia spinge i medici a cercare di tutelarsi ricorrendo alla medicina difensiva, e quindi alla richiesta di esami e controlli inutili ai fini clinici ma che in caso di processo potrebbero rivelarsi decisivi per la propria difesa. Un comportamento del tutto comprensibile, che tuttavia costa ogni anno allo Stato oltre 10 miliardi di euro.
Lo scudo penale adottato per tutelare i medici negli anni dell’emergenza Covid è stato prorogato, nel decreto Milleproroghe, fino alla fine del 2024. Ma questa, sebbene sia sicuramente una buona notizia, non è sufficiente: per questo chiediamo che la Commissione Nordio istituita per le problematiche relative alla responsabilità professionale dei medici chiuda rapidamente i lavori e si proceda con una riforma complessiva di tutto il sistema, volta a tutelare sia i diritti dei pazienti che la professionalità dei medici.
L’eliminazione del tetto alla spesa
In secondo luogo, occorrerebbe eliminare l’odioso tetto alla spesa per il personale sanitario, introdotto nel 2004 e mai più modificato se non marginalmente. Tale intervento cancellerebbe l’alibi adottato da più Regioni secondo le quali la causa delle mancate assunzioni e valorizzazioni del personale sarebbe proprio tale limite di spesa, che viene aggirato pagando a peso d’oro il lavoro a cottimo delle cooperative. In realtà i dati ci mostrano che nel 2022 il tetto è stato lievemente superato solo dall’Emilia Romagna, mentre complessivamente le altre Regioni avrebbero potuto spendere 2,6 miliardi di euro in più. Per questo l’eliminazione del tetto avverrebbe praticamente a costo zero, ma responsabilizzerebbe maggiormente le Regioni, costringendole a spendere le risorse a disposizione per il personale sanitario, incentivandolo a rimanere o ad entrare nel Servizio sanitario nazionale.
La valorizzazione dell’indennità di specificità medica e sanitaria
Infine ma non da ultimo, chiediamo di far uscire il personale sanitario dalla funzione pubblica per regolare le peculiarità della professione medica in modo diverso rispetto al resto della dirigenza della pubblica amministrazione, e di valorizzarla economicamente attraverso l’aumento dell’indennità di specificità medica e sanitaria, in modo da avvicinare gli stipendi italiani alla media europea. La legge di bilancio è stata un fallimento perché le risorse stanziate per i rinnovi dei contratti, quale atto dovuto, non sono assolutamente sufficienti a raggiungere tale scopo, considerato che gli aumenti previsti sono inferiori di dieci punti al tasso inflattivo.
Non è dato sapere se tali interventi siano sufficienti a bloccare definitivamente la fuga dei medici dagli ospedali pubblici. Ma sarebbero senza dubbio utili quantomeno per frenarla.