Oltre 93.000 decessi legati al fumo ogni anno, il 20,6% del totale di tutte le morti tra gli uomini e il 7,9% tra le donne. Più di 26 miliardi di euro all’anno di costi sociali e sanitari che ricadono sulla collettività determinati dal fumo. Un italiano su quattro è fumatore, così come uno studente italiano su 3 tra i 14 e i 17 anni (30,2%) ha fatto uso di un prodotto a base di tabacco o nicotina negli ultimi 30 giorni, tra sigarette tradizionali, elettroniche e tabacco riscaldato.
Aumenta drasticamente il policonsumo, cioè l’utilizzo contemporaneo di questi prodotti, che in un anno passa dal 38,7% al 62,4%. Sono questi i numeri legati al fenomeno italiano dell’uso di tabacco fotografati da due indagini dell’Istituto Superiore di Sanità e pubblicate in occasione della “Giornata Mondiale senza tabacco” che ricorre oggi.
Un trend di nuovo in crescita che però subì una drastica riduzione nei primi anni 2000 (i fumatori in quegli anni erano il 30%) – quando venne approvata le legge 3/2003, ai più conosciuta come “Legge Sirchia”, dal nome dell’allora Ministro della Salute del Governo Berlusconi II, Girolamo Sirchia, 91 anni il prossimo 14 settembre.
Con One Health, lo abbiamo intervistato.
Professore, sono passati più di vent’anni dall’approvazione della legge che porta il suo nome e che ha esteso il divieto di fumo a tutti i locali chiusi, compresi i luoghi di lavoro privati o non aperti al pubblico, gli esercizi commerciali e di ristorazione, i luoghi di svago, palestre, centri sportivi. Che bilancio si sente di fare?
Nell’immediato, dopo l’uscita della legge, per qualche anno è stato molto positivo perché la percentuale dei fumatori diminuì. Si percepiva un’attenzione molto particolare da parte dei cittadini al problema del rischio grave che corrono i fumatori e chi sta loro vicino. Non si ridusse solo l’incidenza ma anche la quantità del tabacco usato. Purtroppo però questa tendenza si è arrestata poiché non furono attuate le altre azioni programmate nell’agenda di governo, tra cui la necessità di incidere in maniera decisa soprattutto sui giovani affinché non cominciassero a fumare. Era questo il secondo punto della strategia. È successo piuttosto tutto il contrario.
Cosa?
Si è verificato un fatto abbastanza preoccupante: le multinazionali del tabacco hanno differenziato il loro business, invadendo il settore delle sigarette elettroniche. Per fare ciò hanno usato una strategia molto sottile e “intelligente”, facendo passare il messaggio che l’utilizzo di questo nuovo tipo di sigaretta rappresentasse una riduzione del danno. Con una puntuale attività di marketing, questi brand hanno da una parte addirittura riconosciuto la pericolosità del tabacco per la salute, pur continuando a commercializzarlo, dall’altra hanno spinto all’acquisto dei nuovi dispositivi di svapo veicolando il messaggio secondo cui il liquido che viene scaldato non sia vero e proprio fumo ma solo vapore e quindi, a loro dire, innocuo. Tutto questo però è una grande bugia.
Perché? Ci aiuti a capire.
Non è per nulla vero che il vapore prodotto da queste sigarette di nuova generazione è innocuo e meno dannoso: il liquido che si riscalda e produce vapore contiene delle sostanze tossiche mascherate da aromi che hanno il solo scopo di “cancellare” il sapore acre e disgustoso del bruciato, con sapori piacevoli di frutta o dolci. Questi additivi però sono pensati per l’uso alimentare e non per l’inalazione. Inalazione che inoltre si dimostra preoccupantemente pericolosa e che può generare patologie come la fibrosi polmonare.
Una strategia che sembra però aver avuto successo.
Decisamente sì. I ragazzini pensando di “svapare” qualcosa di innocuo hanno cominciato, addirittura all’età di 13 anni, a usare le sigarette elettroniche. Queste però per lo più contengono nicotina che crea assuefazione e dipendenza e hanno una tossicità non minore, seppur diversa, da quella del tabacco: quindi sono temibili e devono essere regolamentate. Senza trascurare il fatto che poi hanno dato vita ad un nuovo fenomeno.
Quale?
La nascita dei consumatori duali, coloro che usano indifferentemente l’elettronica o il tabacco riscaldato e la sigaretta tradizionale. Insomma un successo duraturo per le multinazionali del tabacco e un danno altrettanto enorme per la popolazione e per le casse dello Stato. Aumentano così, infatti, tanto i malati delle patologie legate al consumo diretto o indiretto di tabacco quanto i costi delle cure che ricadono poi sui cittadini e sul Servizio Sanitario pubblico.
Ma quindi adesso è tutto fermo?
Sì. I governi che si sono succeduti negli ultimi anni non hanno ritenuto di continuare a perseguire l’obiettivo generale della lotta al fumo. E tutto è tornato come prima: in Italia i fumatori sono nuovamente al 25% e si registrano anche danni maggiori di prima perché si sono aggiunte, come detto, le sigarette elettroniche e anche i prodotti a tabacco riscaldato. Abbiamo la prospettiva di giovanissimi che diventeranno fumatori per molti e molti decenni della loro vita. Le multinazionali hanno compreso che è questa la chiave per continuare ad alimentare tale dipendenza. Ribadisco: non c’è una politica di contrasto al tabagismo ad opera dello Stato, anche grazie alle capacità comunicative e di difesa dei propri interessi da parte delle grandi multinazionali del settore. Così come sembrano essere eccessivamente miti e inefficaci i provvedimenti governativi finora emanati. Siamo di fronte ad un avversario che sa bene mascherarsi nelle pieghe della legge e che di fatto continua a far danno alla salute pubblica.
Professore, negli anni precedenti all’approvazione di questa storica norma si sono sempre manifestate forti resistenze ad impedirne l’attuazione, nonostante fossero accaduti anche dei tragici eventi legati al fumo nelle sale cinematografiche. Lei per primo, come medico e ministro, si rese conto dell’urgente necessità di un provvedimento come questo.
All’epoca abbiamo studiato attentamente una strategia in grado di raggiungere il traguardo che ci eravamo prefissi, facendo tesoro delle esperienze passate rispetto ad un Parlamento che bocciava spesso iniziative di questo tipo. Non presentammo infatti una legge proibizionista, ma piuttosto una legge costituzionalmente inattaccabile. Una norma che tutelasse i diritti di chi non fumava, il diritto di non essere intossicato dal fumo passivo. Abbiamo sempre sostenuto che non fosse vietato fumare ma che fosse vietato intossicare i non fumatori con il fumo passivo e quindi anche con i vapori, che sono pur sempre fumo. Abbiamo fatto leva sulla parità di diritti fra coloro che vogliono fumare e coloro che non vogliono fumare passivamente il fumo generato dai fumatori. Questa è stata la formula che ci ha permesso di ottenere dal Parlamento una legge delega.
Al centro, la tutela della salute dei non fumatori, come recita l’art. 51. della legge 3/2003.
Se non avessimo insistito sul concetto di parità di diritti fra chi fuma e chi non fuma non avremmo mai avuto l’ok del Parlamento. Contestualmente alla preparazione del provvedimento, abbiamo svolto numerosi sondaggi con l’opinione pubblica per comprendere al meglio quale fosse il sentimento popolare: trovammo un ampio consenso. La stragrande degli intervistati erano favorevoli.
Anche i fumatori?
Persino molti fumatori. Del resto tutti si rendono conto che stiamo parlando di un prodotto che ti fa ammalare di malattie gravi e che causa la morte dieci anni prima di quello che il timing biologico prevederebbe. Anche coloro che fumano capiscono che in grande misura è sbagliato fumare però non hanno la forza di liberarsene.
Dopo la legge delega come siete riusciti a concludere l’iter legislativo?
Il provvedimento è stato riproposto in Parlamento sempre in chiave costituzionalmente intoccabile e immodificabile, facendo leva sui principi fondamentali della Costituzione. Con, in aggiunta, il forte consenso popolare. Ottenendo così l’approvazione della norma, inserita in un provvedimento più ampio, la legge n. 3 del 2003, appunto.
Nessun attacco frontale o ostilità da parte delle aziende del tabacco?
C’è stata. Ma nascosta, non ufficiale, perché non si poteva andare contro la Costituzione. Questo è stato forse un po’ il segreto del nostro successo. L’iniziativa è stata così apprezzata da essere imitata anche da altri Stati. Poi però, come le ho detto, si è fermato tutto.
Per sostenere questa legge, si fece molto leva sul problema del fumo passivo, che ancora oggi è causa di morte evitabile nel nostro Paese per molte migliaia di persone l’anno.
Esatto. Si stima che in Italia ci siano 94.000 morti premature l’anno e 30 volte tanto di patologie croniche. Abbiamo cioè 2 milioni di persone affette da malattie croniche che il Servizio sanitario deve curare. Per questo ritengo sia iniquo che la maggioranza dei non fumatori debba pagare per mantenere questa terribile dipendenza di chi fuma. Non solo: le aziende subiscono spese a causa del verificarsi di malattie correlate al fumo, anche passivo, che causano assenteismo dal lavoro e dunque mancata resa del lavoratore stesso. È indegno che i governi non si interessino della salute pubblica e non si organizzino per estirpare questa maledizione dal nostro Paese. In altri Stati si stanno studiando provvedimenti molto duri, anche se ancora una soluzione unitaria appare lontana. Bisogna procedere a piccoli passi creando le condizioni per scoraggiare sempre di più le industrie del tabacco dal fare certe azioni sulla popolazione.
In Italia, secondo l’ISS, nel 2023 i fumatori sono 10,5 milioni (25,1% degli uomini e il 16,3% delle donne), anche se dall’applicazione della legge Sirchia, almeno fino al 2020 il bilancio può considerarsi positivo: infatti, sono diminuiti di circa un milione ed è cresciuta la consapevolezza dei cittadini rispetto alle conseguenze sulla salute dell’uso del tabacco nel 2003 erano il 33%). Cosa manca ancora per combattere definitivamente il fenomeno? Cosa può e devono fare le istituzioni?
Se oggi si dovesse intraprendere un’azione seria a difesa della salute pubblica, bisognerebbe fare quello che hanno fatto gli americani con l’Fda: assegnare all’Istituto Superiore di Sanità i poteri di regolamentare il mercato del tabacco e dei succedanei in Italia, stabilendo, ad esempio, quali devono essere gli additivi consentiti, entro che limiti, o fissando il livello massimo di nicotina nel tabacco e nelle e-cig. In maniera tale da disciplinare un mercato oggi senza regole. Al momento i danni sono amplificati perché non c’è nessuno che vigila. A ciò dovrebbe aggiungersi un’intensa attività di controllo e sanzioni per coloro che non rispettano le direttive, magari punendoli con l’esclusione dal mercato di tutti i prodotti non conformi. Si dovrebbe anche favorire una politica di aumento di prezzo, oltre a quanto già previsto con le accise. Così come sarebbe necessario regolamentare le campagne promozionali dei venditori. È una situazione molto pesante e dispiace che oggi la salute pubblica sia considerata un bene minore rispetto agli interessi privati di tipo speculativo. Io attualmente vedo solo proclami che lasciano il tempo che trovano.
Anche in base alla sua esperienza e alle ricerche fatte, quali sarebbero i limiti da imporre?
Il tabacco non nocivo non esiste. Ma almeno iniziamo a comunicare qual è il limite di nicotina che c’è dentro il tabacco. Noi non lo sappiamo, perché è considerato un segreto industriale. In realtà poi ci sono gli additivi come l’ammoniaca e gli aromi che sono nocivi e aumentano l’assuefazione. Allora se l’ISS prendesse a campione i prodotti, misurasse i costituenti – con la spettrometria di massa lo potrebbe fare velocemente – sarebbe in grado di escludere coloro che non si attengono agli standard. Otterremmo un primo risultato enorme: i prodotti più pericolosi sarebbero banditi. E questo metterebbe subito in riga i produttori che abusano della mancanza di controlli.
Un aumento di 2,4% si è registrato in pandemia. Come si spiega?
La popolazione, avendo già un problema gravissimo da combattere, dava libero sfogo a quello che riteneva essere un male minore. Sembrava pensare: “Vabbè, fumo, mi consolo un po’, soffro di meno”. Come sempre accade quando c’è un momento di grande difficoltà, come una guerra o una pandemia, appunto. Ora, però, il Covid-19 non ha più l’effetto restrittivo che aveva avuto all’inizio. Quindi è il momento di prendere provvedimenti.
In più occasioni lei ha dichiarato che sarebbe necessaria una ricerca indipendente contro il tabacco.
In questo campo, ritengo che la ricerca sia molto spesso addomesticata. Un committente la finanzia: se i risultati sono di suo gradimento la promuove altrimenti la cassa. Su alcune tematiche di interesse nazionale, come ad esempio la salute pubblica, la ricerca indipendente non solo è auspicata ma è necessaria. Basti vedere cosa sta succedendo adesso con i temi ambientali: l’interesse economico prevale sulla salute pubblica. Deve nascere in noi una forte consapevolezza su quali siano le priorità. Per fare ciò, però, occorre una determinazione politica. Solo la politica ha gli strumenti per proteggere o non proteggere la salute pubblica, anche se questa contrasta con gli interessi organizzati. Attualmente questa determinazione politica non c’è.
Si stima (Censis) che in Italia siano attribuibili al fumo oltre 93.000 morti all’anno (il 20,6% del totale di tutte le morti tra gli uomini e il 7,9% del totale di tutte le morti tra le donne) con costi diretti e indiretti per quasi 30 miliardi di euro.
Già solo questi dati dovrebbero indurre un Governo, che annaspa perché non ha i fondi, a compiere delle azioni: in realtà, ci sono troppe infiltrazioni, troppi interessi che girano. Insomma, non c’è la cosiddetta “volontà politica”, che è quella di prendersi delle responsabilità: essendo governi deboli, hanno fondamentalmente paura dei moti di rivalsa dei gruppi organizzati. È più facile mediare, più facile chiudere un occhio che rischiare il posto. E questo è il motivo per cui chi siede negli esecutivi, secondo me, non dovrebbe fare politica. Contrariamente a quanto alcuni continuano a predicare, ritengo che questi debbano essere tecnici. E invece, essendo politici, hanno bisogno del consenso popolare per continuare la loro professione politica. Non possono far altro che mediare.
Il Comune di Torino ha messo al bando il fumo all’aperto, con un’ordinanza. Milano ha vietato il fumo all’aperto a una distanza inferiore ai 10 metri dalle altre persone. Lo stesso Ministro della Salute Orazio Schillaci ha manifestato l’intenzione di estendere le limitazioni al fumo nei luoghi pubblici, anche all’aperto e comprendendo anche le sigarette elettroniche. Come pensa andrà a finire?
Come sempre queste cose: nel nulla. Quelli che mi ha elencato sono provvedimenti comunali che hanno un valore nettamente minore rispetto ad uno di portata nazionale. Sono solo belle intenzioni, ma rimangono sulla carta. Non c’è da sperare nulla.
Il fumo causa un danno anche all’ambiente.
L’impatto è devastante. E non mi riferisco soltanto ai mozziconi gettati a terra che inquinano in maniera vergognosa le nostre città. Le sigarette elettroniche monouso, infatti, stanno inquinando il mondo anch’esse perché smaltirle costa moltissimo. Ci sono ormai inattaccabili documentazioni che dimostrano come il fumo associato agli altri inquinanti dell’aria comporti un aumento preoccupante di molte malattie, compresi i tumori e quelle dell’apparato cardiovascolare. Come cittadini siamo quotidianamente esposti ad un rischio elevato perché nelle nostre città l’aria è divenuta irrespirabile. L’Italia ha il triste primato di 18 procedure di infrazione da parte della Commissione e della Corte Europea in tema di aria inquinata per aver superato in maniera continua e reiterata i limiti di inquinamento atmosferico per molti mesi all’anno in numerosi centri urbani. Stiamo rovinando l’ambiente in cui viviamo per interessi di alcuni a danno di tutti.
Che cosa fare?
Dovremmo ridurre il traffico e i riscaldamenti, curare il verde dentro le città, far crescere i parchi della salute e le cosiddette foreste urbane, abbattere il contenuto di polveri sottili di altri tossici dell’aria, smettere di costruire e di consumare suolo. Finora abbiamo utilizzato fonti fossili per generare energia: passare all’elettrico è ottimo ma noi lo produciamo da centrali a carbone e da gas metano. L’energia dovrebbe essere generata da fonti pulite come il nucleare. Oggi molti timori del passato non hanno più senso e purtroppo ci lasciano ancora prigionieri di fonti energetiche sporche, aleatorie e dispendiose.