“I bravi leader sono abili nell’attrarre e motivare le persone giuste e si contraddistinguono per una singolare capacità di ascolto. Portano avanti un sogno, una visione, oggi diciamo un “purpose” che sia ambizioso, devono saperlo difendere e contestualizzare rispetto alle sfide da affrontare”. Così, nell’intervista esclusiva rilasciata a One Health, Gianmario Verona, un leader a tutti gli effetti e Presidente della Fondazione Human Technopole, l’istituto italiano di ricerca per le scienze della vita situato nel cuore di MIND, il Milan INnovation District.
Ricerca e innovazione sono le chiavi del progetto, che si pone l’ambizioso obiettivo di sviluppare nuovi approcci per la medicina personalizzata e preventiva, formare nuovi e giovani talenti scientifici, guidare il progresso attraverso il trasferimento tecnologico, partecipare al futuro del Paese in termini sociali, di salute e benessere dei cittadini e di crescita economica.
Ci parli del progetto Human Technopole e la sua rilevanza nell’ambito della promozione della ricerca e sviluppo e del trasferimento tecnologico in Italia e in Europa.
Human Technopole è una fondazione privata sorvegliata dai Ministeri dell’Economia e della Finanze, dell’Università e Ricerca e della Salute. Con le risorse che ci vengono conferite contribuiamo al nuovo paradigma biomedicale – ovvero il passaggio verso la medicina personalizzata e preventiva in un’epoca in cui strumentazione scientifica e grandi dati permettono un salto di qualità nella comprensione e soluzioni di problemi della salute. Lo facciamo attraverso quattro strumenti: una ricerca di base (la cosiddetta ricerca intramural) svolta dai nostri ricercatori, scienziati leader a livello internazionale nei rispettivi campi; la creazione e gestione di una infrastruttura a disposizione dei ricercatori italiani che vengono ospiti presso Human Technopole grazie ai bandi che lanciamo; la formazione continua; e il technology transfer.
Dove vi trovate?
Human Technopole nasce all’interno del MIND Milan INnovation District, il progetto di rigenerazione urbana che ha trasformato il sito dell’esposizione universale di Milano del 2015 in un parco urbano dedicato a scienza, ricerca e innovazione. Diversi sono i protagonisti a partire da Arexpo e Lendlease che gestiscono operativamente MIND, e, oltre a noi oggi, vi sono istituti di ricerca clinica del calibro dell’Ospedale Galeazzi – S. Ambrogio del Gruppo San Donato, multinazionali quali Astrazeneca e Illumina, e tanti altri attori che si stanno aggregando in questi mesi, primo dei quali il campus STEM dell’Università Statale di Milano che ha iniziato i lavori per il trasferimento. Si tratta di un bellissimo esempio di partnership pubblico-privata che permette di riunire in un’unica area accademici, ricercatori, clinici, innovatori e rappresentanti del mondo industriale.
HT è considerato un’eccellenza nel campo della ricerca nelle life science. Quali i principali studi in corso?
La ricerca di HT abbraccia l’intera complessità della fisiologia umana adottando un approccio di ricerca multiscala, dallo studio della struttura delle molecole alle caratteristiche genomiche della popolazione. Nel corso dei primi anni di attività, l’istituto si è sviluppato lungo cinque aree: genomica, neurogenomica, biologia computazionale, biologia strutturale e health data science. A queste prevediamo di aggiungere ulteriori aree tra cui la biologia cellulare molecolare e la modellazione e simulazioni biofisiche. Nel corso dei prossimi anni la ricerca di HT adotterà inoltre un approccio sempre più interdisciplinare che permetterà di comprendere i meccanismi alla base della salute e delle malattie umane. I nostri ricercatori si concentreranno sullo studio di determinati gruppi di malattie, in particolare quelle cardiometaboliche, le immunologiche e le malattie neurodegenerative. Lo studio di queste malattie può infatti offrire paradigmi funzionali per comprenderne i meccanismi molecolari fondamentali offrendo di conseguenza importanti opportunità per la ricerca traslazionale e clinica.
Secondo un recente articolo pubblicato su Nature, la scienza degli ultimi anni è meno rivoluzionaria, meno “disruptive”, dei decenni precedenti. È davvero così? Cosa è cambiato?
È un articolo, quello dei colleghi dell’Università del Minnesota, che è stato anche criticato per una serie di misurazioni imprecise. Ma credo che, indipendentemente da ciò e dal clamore di dire che la scienza è oggi meno disruptive di ieri, coglie due aspetti fondamentali dei problemi attuali della ricerca scientifica.
Il primo è che oggi la ricerca richiede una interdisciplinarietà che è incoerente con gli schemi verticali e disciplinari di pubblicazione maturati in anni di minore complessità scientifica. Il secondo è la crescente burocratizzazione delle carriere scientifiche e del “publish or perish” che va spesso a detrimento della creatività dei singoli scienziati. Questi due punti richiederebbero una profonda riflessione per capire come tenere alta la qualità, ma allo stesso tempo cercare una premialità per le innovazioni radicali anziché quelle marginali. Non è banale ma credo che i tempi siano maturi per una profonda riflessione.
Cosa possiamo fare per cambiare rotta? La AI potrà avere un ruolo in questo percorso?
La AI è un bell’esempio di quanto sto dicendo. Non nasciamo esperti di computer science, eppure oggi ci dobbiamo confrontare con grandi e piccoli dati in tutti i campi. Se sono un biologo molecolare devo oggi capirne un po’ di più di big data, esattamente come un chirurgo deve capirci sempre di più di robotica. Per questo occorre puntare a mantenere le specificità disciplinari, ma allo stesso tempo occorre anche acquisire quella orizzontalità necessaria per sviluppare le competenze che i diversi campi scientifici richiedono.
La AI da qualche anno sta già aiutando la ricerca e la diagnosi clinica leggendo i dati a volte meglio dell’essere umano – sempre, mi piace dire, se controllata e coadiuvata da sapiens e non lasciata da sola. Oggi con la generative AI siamo di fronte a un salto ulteriore importante in cui potrà aiutarci a contribuire in modo creativo a quello che facciamo. Già nel campo della biologia computazionale ad HT la stiamo impiegando per formulare alcune ipotesi che il semplice occhio nudo a volte fa fatica a cogliere.
Cosa dovrebbero fare le istituzioni per rimettere al centro dell’agenda politica la ricerca scientifica?
Ricerca e innovazione sono tra i principali motori della crescita e del futuro di qualsiasi paese. Rappresentano un potente fattore di progresso in termini sociali, di salute e benessere dei cittadini e di crescita economica. Basta vedere la storia di paesi come gli Stati Uniti e la recente storia della Cina. Investire in ricerca e innovazione significa offrire opportunità di istruzione e formazione, guarantire al mondo della ricerca finanziamenti stabili e di lungo periodo, permettere l’accesso a infrastrutture all’avanguardia.
Le iniziative del Governo italiano a favore della creazione di fondazioni di ricerca – penso all’Istituto Italiano di Tecnologia e alla Fondazione Human Technopole – sono un passo nella giusta direzione e testimoniano un impegno concreto per aumentare commitment in scienza e ricerca, a beneficio di tutto l’ecosistema nazionale.
Big data e interoperabilità dei sistemi al servizio del paziente. Come si raggiunge l’efficienza nella gestione di tutte le informazioni per erogare cure di qualità e sempre più rispondenti al bisogno di salute di ciascuno individuo?
Beh, questa è la domanda quintessenziale per il futuro della medicina. Quando si parla di medicina personalizzata si parla di una medicina che possa offrire le soluzioni customizzate proprio in funzione della conoscenza che la ricerca scientifica e traslazionale ha maturato rispetto alle patologie. Oggi i dati li abbiamo, ma appunto li dobbiamo mettere in circolo per poterli impiegare. La cosa, come noto, non è banale per un tema di privacy e di sensibilità di questo specifico tipo di dato, ma anche per la interoperabilità di sistemi spesso disallineati. Guardare realtà più avanti sicuramente ci aiuta per semplificare un percorso che è necessario fare per riuscire in un salto di qualità dall’Italia che ha la fortuna di essere un paese dove la sanità è concepita come un bene pubblico e produce quotidianamente una quantità di dati preziosissimi.
Per sei anni è stato rettore dell’Università Bocconi. Competenze e imprenditorialità sono le caratteristiche che l’università promuove per consentire ai propri studenti e docenti di dare un contributo fattivo allo sviluppo dell’Italia e dell’Europa. Come si coltiva un talento? Come si può essere invece attrattivi per le rising star italiane e internazionali?
I talenti, in quanto tali, si muovono in funzione degli incentivi. Quando parliamo di incentivi intendiamo certamente incentivi economici ma non solo, anzi. Nella mia esperienza in Bocconi ho appreso che una star della ricerca ha certamente interesse ad avere uno stipendio allineato al benchmark internazionale, ma ha soprattutto interesse ad avere a disposizione una infrastruttura coerente con il progetto di ricerca cui vuole puntare. La stessa cosa la sto sperimentando qui a Human Technopole che in soli quattro anni è riuscito a catalizzare scienziati di fama internazionale a partire dal nuovo direttore il Professor Marino Zerial, già cofondatore del Max Planck Institute di Dresda. Una studentessa talentuosa ha bisogno di un curriculum scientifico di livello, ma anche di una serie di servizi che l’università deve offrire, inclusi gli alloggi e le opportunità di stage e placement. Quindi per valorizzare i talenti occorre riflettere attentamente sulla predisposizione di una infrastruttura in grado di accoglierli. Solo così si fa il bene dell’Italia e dell’Europa.
Nel suo ultimo saggio “Capaci di decidere. Prospettive e buone pratiche dai leader di oggi per i leader di domani”, analizza le complessità di questi anni (pandemia, conflitti internazionali, crisi globali) e le sfide del domani (digitalizzazione, sostenibilità) attraverso anche le testimonianze e le esperienze di personalità di rilievo del nostro tempo, CEO e top manager di grandi imprese nazionali e internazionali e policy maker. Quale tipologia di leader dobbiamo aspettarci nel prossimo futuro?
Non è facile rispondere con una semplice battuta su un tema che è aumentato di complessità con la crescente diversità dell’ambiente che circonda oggi le istituzioni. Diciamo che i bravi leader si sanno circondare di competenze adeguate ad affrontarla, e per farlo sono abili nell’attrarre e motivare le persone giuste. Si contraddistinguono anche per una singolare capacità di ascolto. E poi, come sempre, i leader devono portare avanti un sogno, una visione, oggi diciamo un “purpose” che sia ambizioso e devono saperlo difendere e contestualizzare rispetto alle sfide da affrontare.