Nonostante tutti gli sforzi compiuti negli ultimi anni per consolidare le fondamenta gestionali dei SSR e delle aziende sanitarie, nonostante il successo ottenuto nel fronteggiare la pandemia, nonostante i tanti proclami d vicinanza, importanza, amore, dedizione, ecc., il SSN nel complesso sta vivendo il suo momento più difficile di sempre.
Perché?
Un dato positivo, la capacità di conseguire e stare sostanzialmente in equilibrio economico, si traduce in un fatto critico: l’insufficienza “cronica” di risorse per erogare servizi dovuti e necessari, dovuta ad un sotto-finanziamento evidente del SSN in confronto ad altri Paesi benchmark (Francia, Germania, Olanda, Nord Europa ecc.). Se il sistema, se gli SSR erogassero tutto quanto servisse, se non avessimo liste di attesa, assistenza domiciliare scarsa, razionamento di medical devices, carenza di personale ecc., non ci staremmo a porre questa domanda. Ma la situazione è questa. E per quanto SSR e aziende possano cercare di recuperare ulteriori risorse combattendo gli sprechi, la coperta rimarrà corta. A questo quadro di finanziamento molto limitato si aggiunge una significativa limitatezza dei fondi pubblici per gli interventi sociali, tale per cui il SSN nella presa in carico del paziente è implicitamente chiamato a gestire non solo il socio-sanitario in senso stretto, ma anche questioni di natura sociale.
Inoltre, se da un lato osserviamo ancora delle performance straordinarie sotto il punto di vista della salute, con aspettativa di vita e mortalità che ci posizionano ai primi livelli al mondo, dall’altro lato lo stato di salute del SSN mostra alcune criticità con riguardo all’accessibilità dei servizi, alla qualità, alla soddisfazione, con risultati molto diversificati lungo tutta la penisola e dentro ogni singola Regione. Lo stress economico rischia di spingere le aziende a politiche di breve termine di “contenimento” dell’offerta, in un quadro complessivo in cui l’universalismo della sanità è già selettivo. Bastano pochi numeri a comprendere il fenomeno: a oggi il 55% delle prestazioni specialistiche in Italia è pagato di tasca di propria dal cittadino, la domanda di assistenza domiciliare è soddisfatta al 25%, non più del 20% dei disabili dalla nascita sono assistiti continuativamente, l’odontoiatria è coperta dal SSN per il 3% della spesa reale dei cittadini.
In questa situazione, rischiano di aumentare le diseguaglianze di salute nel nostro Paese, già presenti come il rapporto Osserva Salute ogni anno ci rappresenta. Diseguaglianze che di per sé si stanno comunque dilatando non solo nei Paesi «deboli», ma anche in tutti i Paesi con robusti sistemi di welfare, presumibilmente perché nella fase matura dei sistemi universalistici in società sviluppate i gruppi di utilizzatori più educati e con maggiori possibilità utilizzano meglio degli altri le opportunità offerte dal sistema.
Il futuro è quindi davvero incerto e complesso. D’altronde lo è sempre stato qualcuno potrebbe ribattere, ma ora l’intensità delle sfide – tra cui non ultima si inserisce prepotentemente quella della ONE HEALTH – è tale che la stessa “legittimazione” sociale-istituzionale del SSN potrebbe essere messa in discussione.
Fare di più, con meno, più velocemente, in modo appropriato, coordinandosi e lavorando in rete (anche con il privato), con professionisti contingentati e demotivati, un’innovazione tecnologica travolgente ed una burocrazia che non allenta la presa. Una missione impossibile senza una Politica responsabile (quella con la P maiuscola), capacità manageriali e coinvolgimento dei professionisti sanitari. Queste le vere sfide.
Fermo restando che, come già detto, il primo problema è il sotto-finanziamento (e come useremo i soldi che arriveranno dall’Europa – magari un po’ meno in infrastrutture e di più in rinnovamento/potenziamento tecnologico vista la situazione in cui versa il sistema), quali possono essere dunque le vie concrete da percorrere per la «manutenzione straordinaria» del SSN?
Le diverse ricette
Proverò a dare un po’ di food for thought attraverso una sistematizzazione ragionata di diverse delle “ricette” che circolano nel dibattito corrente e qualche ulteriore riflessione nuova.
Tutte le proposte nascono dall’osservazione e dalla ricerca sul sistema condotta per oltre vent’anni, dal confronto con molti protagonisti del sistema, e dal confronto con le dinamiche internazionali. Non vi è posizione politica o visione ideologica, ma solo riflessione tecnica.
Dieci punti chiave. I possibili interventi strutturali per migliorare qualità e sostenibilità SSN
Dieci sono le linee di intervento che vorrei proporre per la riflessione, forse le basi per un’agenda di lavoro del SSN, alla luce anche di quanto sembra anche interessare e caratterizzare il dibattito nazionale.
Primo
La prima linea d’intervento riguarda una ancora più concreta, e chiara ma soprattutto sistematica identificazione e adeguamento dei livelli essenziali di assistenza, per renderli misurabili e trasparentemente osservarne l’erogazione nelle diverse Regioni. Bene quanto fatto recentemente dal SSN, ma è solo un intervento tampone che indica la strada futura. Serve un processo stabile e continuo, che aiuti il SSN a selezionare le vere priorità-innovazioni del sistema ed evitare diseguaglianze marcate nell’accessibilità ai servizi, ai devices, alla tecnologia e nelle modalità erogative. Forse serve un’agenzia dedicata a questo lavoro, in affiancamento a Ministero, AGENAS, ISS.
Secondo
Rivedere almeno in parte i meccanismi di finanziamento aziendali per introdurre modalità di rimborso ed incentivi più incisivi per la gestione integrata della patologia complessa (sul modello dei bundle payment adottati in altre nazioni), che paghino i risultati e non le prestazioni. A cui aggiungere (o potenziare gli attuali) meccanismi di premialità, che distinguano meglio chi lavora bene da chi lavora non altrettanto bene.
Terzo
Ricercare un dimensionamento dell’offerta più razionale attraverso crescenti sinergie di rete, e un rapporto pubblico-privato meno ideologico, ma più e meglio governato.
Quarto
Alzare il livello della classe dirigente con processi di selezione e valorizzazione delle professionalità più efficaci di quelli in atto e con regole di funzionamento aziendali semplificate rispetto a quelle oggi vigenti. Fermo restando il rapporto di fiducia tra politica e management, la selezione e valutazione del management deve diventare più professionale e premiare maggiormente il merito. Non è più tollerabile vedere classifiche dei manager sanitari sulla base di punteggi dati dalle Regioni che non sono sostanzialmente spiegabili dai fatti concreti, dai risultati, quanto piuttosto da appartenenze e cordate. Non solo alzare il livello della classe tramite i processi di selezione quindi, ma anche valorizzare i meriti. Rivedendo tutta la questione retributiva e degli incentivi delle direzioni aziendali oltre qualsiasi retorica.
Quinto
Stante i blocchi del turnover e l’invecchiamento del personale SSN, guidare attentamente – ma con molto più coraggio – i processi di cosiddetto change nello skill mix e task shifting (passaggio di compiti). E’ tempo di aprire nuove opportunità agli infermieri ed alle professioni sanitarie, di potenziarne il portafoglio attività (e responsabilità), rimodulando le relazioni con specialisti e MMG per liberare e gestire nel modo più efficace e a valore aggiunto il tempo di ciascun professionista.
Sesto
Centralizzare nei livelli regionali le relazioni sindacali per arrivare rapidamente a una loro semplificazione e convergenza verso logiche omogenee di gestione. Se la Regione è la capogruppo, agisca in quanto tale ogni qual volta si pone sul tavolo sindacale un tema che non è di singola azienda, ma di sistema. Anche per ragioni di equità e giustizia organizzativa in tutto il SSR. Liberando tempo ed energie nelle aziende per dedicarsi alla gestione.
Settimo
Sviluppare la capacità di generare una supervisione maggiore dell’insieme di spesa che i cittadini italiani dedicano a sanità e salute. Tramite SSN, di tasca propria, intermediata, da altre istituzioni (INPS, INAIL ecc.). Rimettere a sistema tutta la spesa aiuterebbe a evitare sprechi, ridondanze, diseguaglianze, opportunismi, e soprattutto a ricercare le sinergie efficaci. Basti pensare al tema della riabilitazione, dell’assistenza domiciliare o residenziale. In altri termini, il SSN, e i singoli SSR dovrebbero rapidamente acquisire la capacità di fare da «navigatori» per i propri assistiti, recuperando la loro patient centricity che sta diventando crescente oggetto di interesse da parte del mondo privato.
Ottavo
C’è tutta una serie di questioni di tecnica gestionale che devono prepotentemente entrare nell’agenda strategica di ogni Azienda Sanitaria e SSR. Per esempio, lo sviluppo e consolidamento delle tecnostrutture gestionali, la trasformazione del «modello di servizio» dell’ospedale, l’operazionalizzazione del paradigma del population health management sul territorio, il consolidamento organizzativo delle reti cliniche e delle unit/team di competenza, la messa a frutto del potenziale organizzativo (mercato a pagamento, turismo sanitario) per sostenere la missione istituzionale. Tempi e modi con cui tutto questo sta avvenendo sono troppo lenti e a singhiozzo.
Nono
Riavviare un circolo virtuoso tra sistema e industria. Il sistema italiano deve guardare con più attenzione al valore che può generare tutta la filiera sanitaria con una migliore gestione di brevetti/patenti appoggiata su servizi decentrati nelle principali aziende sanitarie, la creazione di science and health park che coinvolgano le aziende sanitarie, almeno quelle dove si svolge un carico significativo di ricerca, la creazione o la promozione di strutture che fungano da «angeli» e incubatori nel sostenere economicamente lo start-up di processi di industrializzazione di innovazioni prodotte nel sistema sanitario (metodi, tecniche, devices ecc.), politiche di sgravi fiscali e altri benefici per attrarre investimento e ricerca.
Decimo
Un approccio a «geometria variabile», che distingua il grado di autonomia conferito alle Regioni e alle aziende, dove quelle con un consolidato quadro economico sotto controllo e risultati soddisfacenti (esiti, rispetto dei LEA, soddisfazione, innovazione) potrebbero godere di maggiore autonomia nel profilo gestionale di materie oggi regolate prevalentemente al centro del sistema (es. politiche del personale, acquisti, innovazione).
L’undicesimo comandamento. Quanto è importante avere un sistema pubblico
La crisi determinata dalla pandemia COVID, diversamente da quanto la retorica mediatica ha cercato in tutti i modi di evidenziare con una sostanziosa dose di populismo e ricerca strumentale della notizia, è proprio il fatto di quanto e come le Regioni siano una risorsa chiave in un sistema ben coordinato. Questo ci indica chiaramente la crisi.
Al di fuori di ogni dietrologia sul ritorno a un centralismo del SSN, che chi ne conosce bene la storia sa perfettamente quanto sia stato fallimentare sia sotto il profilo della sostenibilità che di quello dell’equità. E ancora oggi è evidente come le decisioni prese dal governo soffrano sia della “lontananza” dalle specificità e necessità di territori significativamente diversi, sia dei ritardi e compromessi tipici delle negoziazioni politiche e dell’attenzione al consenso che le rendono non adeguate a fronteggiare la complessità dei problemi della modernità della sanità. Anche le Regioni mostrano dinamiche simili, ma la nomina diretta del Governatore e la maggiore vicinanza alla base elettorale generano una accountability più forte, su cui possiamo investire per dare all’Italia una governance efficace su tutti i territori.
Abbiamo bisogno invece di un centro forte nel dare una guida visionaria al SSN, nella ricerca dell’armonizzazione degli sviluppi nelle Regioni e tra Regioni, nella costruzione di reti di livello nazionale (ad esempio quella degli Istituti Zooprofilattici per il tema ONE HEALTH), nella conduzione dell’innovazione, del rinnovo tecnologico, e nella programmazione dei fabbisogni. Ma la catena di comando, e la responsabilità sul dare e garantire i livelli di assistenza non può che essere a livello regionale. Possiamo discutere se le Regioni molto piccole debbano associarsi a quelle grandi, di cui usano le reti di offerta in modo importante. Ma il fulcro resta quello Regionale. Le decisioni, gli investimenti, l’allocazione e distribuzione delle risorse, la responsabilità sulla qualità, equità, appropriatezza e accessibilità dei servizi non possono che essere di livello regionale.
Quindi, dobbiamo sì potenziare il Ministero e le agenzie centrali (ISS, Agenas ecc.) perché svolgano il loro compito «federale» in modo efficace, ma dobbiamo altrettanto investire dal centro perché le Regioni abbiano le risorse per potenziare i loro organici con una nuova generazione di dirigenti e quadri all’altezza delle sfide della sanità moderna. Su questa traiettoria già si sta muovendo in tempi recentissimi l’SSN, cogliamo l’opportunità per rilanciarla con maggiore vigore.
Primum vivere, deinde philosophari
Due famose quotes nell’ambito del management recitano “Without a strategy, execution is aimless. Without execution, strategy is useless” (Morris Chang) e ”Strategy is a commodity; execution is an art” (Peter Drucker).
Il senso è chiaro, puoi avere i progetti migliori, ma se non hai la struttura per gestirli sarà tutto molto complicato. Mi soffermo qui su due punti nodali di intervento nel SSN senza i quali l’agenda di lavoro tracciata nei precedenti paragrafi avrà difficile implementazione. Elementi che possiamo considerare antecedenti a tutto il programma “trasformativo” del SSN, condizioni necessarie, e quindi priorità di intervento assolute:
Uno. La dimensione e capacità delle tecnostrutture regionali
Intervenire sulle tecnostrutture regionali, ovvero sia le capacità e dimensioni degli assessorati alla salute. Forse la priorità numero uno. Oggi appare evidente come occorra infatti potenziare tali tecnostrutture in tutte le regioni, ed ancora di più dove non si sono create le condizioni per governare in modo adeguato il sistema sanitario. Si riscontra purtroppo, specialmente nel livello dei quadri regionali, un deficit in termini di competenze istituzionali (definizione e implementazione delle politiche), professionali e manageriali, di mentalità, di capacità e di professionalità. La responsabilità va tuttavia ascritta non tanto (o solo) ai singoli quanto al sistema cui appartengono. Sono persone che non hanno avuto la possibilità di fare formazione come gli omologhi nelle aziende, essere esposti a contaminazioni professionali e stimoli lavorativi importanti, vivere una cultura aziendale, avere una chiara responsabilità di risultato e meccanismi premiali e valutativi incisivi. In larga parte questa diagnosi spiega il fenomeno delle aziende zero, quale azione di alcune Regioni per potenziare la capacità di governo del proprio SSR.
Si registra quindi l’evidente paradosso in diversi contesti in cui il management delle aziende sanitarie ha profili di competenze superiori a quello della “capogruppo” regionale. Chi guida (o dovrebbe guidare) non ha sufficiente capacità e dimensione. Le linee di intervento possibili od auspicabili sono diverse:
- Politiche del personale (retribuzione, inserimento, sviluppo di carriera, formazione, ecc.) per rendere attrattive le posizioni regionali;
- Una turnazione o rotazione obbligatoria tra livello regionale ed aziendale che permetta di maturare competenze trasversali ed avere piena contezza delle dinamiche interne al servizio sanitario regionale;
- Una redistribuzione di risorse reali (persone) oltre che finanziarie dal centro verso le Regioni più deboli, che hanno innanzitutto bisogno di una forte iniezione di cultura, capacità e professionalità oltre che di risorse economiche aggiuntive.
- Una gestione più in chiave aziendale degli assessorati, con le dinamiche necessarie per creare quello spirito di squadra, di missione, di appartenenza e di identità spesso molto debole.
L’affiancamento fino ad oggi reso possibile con il meccanismo dei piani di rientro e l’individuazione dell’advisor regionale è stato certamente utile, ma non sufficiente. Non è sostituendosi all’assessorato che si fa crescere un sistema, una “capogruppo”. Al contrario spesso il ricorso all’advisor (di norma società di consulenza) ha permesso alle tecnostrutture regionali di “appaltare” compiti e responsabilità proprie, ritardando o annullando i possibili percorsi di crescita. Un cambio di passo deciso è necessario.
Due. La dimensione e capacità delle tecnostrutture aziendali
Intervenire sulle tecnostrutture aziendali: senza “qualità” nel management anche le migliori professionalità non potranno dispiegare le proprie potenzialità. E con aziende di dimensioni straordinarie (diverse ASL con più di 5.000 dipendenti, punte di 14/15.000), è possibile lasciare la direzione a governare l’organizzazione con uno sparuto gruppo di collaboratori? Ma giusto per dare un termine di confronto, una grande multinazionale del farmaco che ha in Italia circa 2500 dipendenti impiega nella funzione personale oltre 100 persone. L’azienda sanitaria media italiana con più di 5000 dipendenti ne ha 20… spesso con profili di competenza e capacità variegate…
Al crescere dimensionale delle aziende, occorre interrogarsi più seriamente su quali assetti di governance possono meglio sostenere le «mega-aziende» e dare spazio al loro management per poter investire seriamente sulla costruzione della «squadra» necessaria per gestire la crescente complessità manageriale e istituzionale. Cosa che implica sbloccare almeno su questa partita il turn-over e consentire alle Direzioni Generali di arruolare le professionalità di cui hanno bisogno, di nuovo oltre ogni retorica e convenienza politica.
Infine, un’ultima notazione. Per costruire in generale il middle management, con specifico riferimento all’area della tecnostruttura aziendale e delle funzioni manageriali di supporto e trasversali (amministrative e non), le aziende sanitarie devono anche poter ragionare nel modo più funzionale possibile rispetto a capacità e merito, scevre da condizionamenti generate da profilature professionali vincolanti rispetto alle possibilità di riconoscimento e carriera.
Diversi ruoli nell’ambito delle tecnostrutture, quali la programmazione e controllo, la qualità, la gestione operativa, le relazioni sindacali, i sistemi informativi, ecc., nonché nell’ambito delle Direzioni aziendali, quali la direzione sanitaria o quella amministrativa, sono “terreni contendibili” dal punto di vista della varietà delle professionalità che possono servire nella squadra di collaboratori. In questa prospettiva è quanto mai opportuno evitare di mettere vincoli di carriera basati su specifici background, e garantire pari opportunità di carriera all’interno delle diverse strutture sulla base delle competenze e dei meriti, senza condizionamenti formali sulla base degli studi o dei titoli. Così come consentire a medici ed altri laureati sanitari – con un forte interesse e studi ulteriori in materie gestionali – di ambire a lavori e ruoli nell’ambito direzionale delle aziende e di poter essere assunti anche in assenza di una specializzazione. Anche qui, un cambiamento istituzionale potrebbe agevolare un ricambio professionale necessario, aprire sentieri di carriera motivanti, catturare professionalità che oggi sfuggono al sistema. Un altro cambio di passo importante per dare “gambe” alla dimensione aziendale delle strutture sanitarie così necessaria nella contemporaneità della sanità.