Identificato per la prima volta circa un secolo fa, il virus dell’aviaria fa ciclicamente preoccupare il mondo intero.
Una situazione di costante allerta e monitoraggio da parte delle autorità, a causa della capacità del virus H5N1 di creare focolai negli uccelli selvatici e domestici, per trasmettere poi la patologia anche ai bovini e al pollame.
Ma facciamo un passo indietro
Era il 1959 quando il virus fu identificato per la prima volta in Scozia, per poi tenere la popolazione di Hong Kong con il fiato sospeso nel 1997, la Regione cinese in cui un primo focolaio provocò la morte di 6 persone e ne infettò altre 18: si trattava della prima trasmissione dagli uccelli agli esseri umani ad essere stata documentata.
L’Italia, fra il 1997 e il 2005, è stata interessata da 6 epidemie di aviaria, di cui solo due ad alta patogenicità, che hanno colpito principalmente le aree ad alta densità di allevamenti avicoli del Veneto e della Lombardia. Dal 2021, oltre mezzo miliardo di volatili allevati a scopo alimentare sono morti o sono stati abbattuti a livello globale a causa dell’influenza aviaria.
Tra il 2003 e aprile 2024 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato di aver registrato un totale di 889 casi umani di aviaria in 23 paesi, inclusi 463 decessi, portando il tasso di mortalità al 52%.
C’è grande preoccupazione negli ultimi tempi
C’è grande preoccupazione negli ultimi tempi, da quando l’influenza aviaria è stata trovata in alcune mucche da latte americane in Texas, Kansas e New Mexico, e poi ancora in una capra del Minnesota, fino ad un uomo texano, probabilmente contagiato da pollame infetto o da un uccello, che non ha sviluppato particolari sintomi ad eccezione di una lieve congiuntivite. Due mesi fa, poi, un’altra scoperta: il virus è arrivato anche in Antartide, identificato per la prima volta nel continente in due uccelli trovati morti vicino alla base antartica argentina Primavera, nonostante la distanza e le barriere naturali che la separano dal resto del mondo. Ancora, alcuni gatti di una fattoria del Texas che avrebbero bevuto latte non pastorizzato e un delfino nel mare della Florida, in Nord America. Un doppio salto di specie che conferma la capacità dell’H5N1 di evolvere rapidamente.
Il mondo non ha ancora superato il Covid e già si prepara ad un’altra ondata pandemica, questa volta – purtroppo – già tristemente conosciuta.
L’European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc) e la European Food Safety Authority (Efsa) hanno, poi, avvertito che “se i virus dell’influenza aviaria A/H5N1 acquisissero la capacità di diffondersi tra gli esseri umani, potrebbe verificarsi una trasmissione su larga scala”.
Mentre gli Stati Uniti si preparano ad un contagio uomo-uomo, lavorando ad un piano di preparazione nel caso in cui si verificasse una trasmissione umana del virus, in Europa il virus si diffonde sempre più rapidamente, anche se solo fra i volatili.
“Ma vietato abbassare la guardia”, fanno sapere gli esperti.
La parola al Centro di Referenza Europeo per l’Influenza Aviaria presso l’IZSVe
“Il virus ci ha abituato a farci capire che è in grado di coinvolgere sempre nuove specie – spiega il dottor Calogero Terregino, direttore del Centro di Referenza Europeo per l’Influenza Aviaria presso l’IZSVe, che fa parte della rete degli Istituti Zooprofilattici Italiani –: dagli uccelli selvatici e domestici, negli ultimi anni ha infettato anche mammiferi, prevalentemente carnivori, e – novità assoluta – i ruminanti. Gli animali hanno una sintomatologia assimilabile a quella febbrile, con una riduzione del consumo di latte. Attualmente, negli USA stanno approfondendo tutti gli aspetti di questa nuova infezione. Di rassicurante c’è che è un virus tipicamente adattato agli uccelli, e non ha acquisito quelle caratteristiche che possono renderlo pericoloso per l’uomo, nonostante ci sia stato un operatore con una lieve congiuntivite risolta in pochi giorni”.
“È bene continuare a monitorare la situazione per capire se ci sono degli ulteriori aspetti da controllare – prosegue Terregino – e anche cercare di ridurre l’impatto della problematica, ispezionando gli allevamenti infetti. Il fatto che il virus sia stato trovato nel latte è forse l’elemento più rappresentativo della problematica, perché documentata più volte nel corso della storia”.
Il Ministero della Salute fa sapere che in Italia sono stati confermati 11 nuovi focolai di Influenza aviaria ad alta patogenicità da sottotipo H5N1 in allevamenti di pollame nel periodo compreso da fine marzo 2023 a dicembre 2023. Nel 2024 è stato confermato un solo focolaio nel mese di febbraio. In Europa, nel periodo compreso tra marzo e dicembre 2023, sono stati confermati 88 focolai nel pollame e 175 casi nei selvatici.
“Per il momento, non risulta adesso in grado di dare infezioni gravi o diffusive nell’uomo nel nostro Paese, tant’è che le organizzazioni sanitarie internazionali continuano a considerare il rischio per la popolazione ancora molto basso. Questi episodi fanno capire come la sorveglianza in caso di circolazione dell’H5N1 – nel mondo selvatico e negli allevamenti – deve estendersi anche ad altre specie, come i bovini. Ci sarà sicuramente nel prossimo futuro l’intenzione – se le indagini epidemiologiche lo ritenessero opportuno – di valutare la presenza del virus anche in altri ospiti, con una modifica dei piani di sorveglianza”, conclude il direttore del Centro di Referenza Europeo per l’Influenza Aviaria presso l’IZSVe.