L’aumento costante della popolazione sulla Terra, che oggi è tre volte più numerosa rispetto alla metà del secolo scorso e che, secondo le stime, potrebbe sfiorare i 9,7 miliardi entro il 2050, determinerà una crescita massiccia del numero di abitanti concentrati nelle metropoli. Si tratta di una tendenza che, se ben prima della pandemia appariva irreversibile, ora impone di ripensare con urgenza le politiche di pianificazione territoriale in un’ottica One Health. Un approccio definito nel 2021 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), avallata dalla Banca Mondiale, in base al quale la salute viene considerata come il prodotto di un equilibrio olistico fra la persona e l’ambiente, inteso – quest’ultimo – anche nella sua dimensione urbana.
Urban One Health: la rigenerazione dell’ambiente integra discipline diverse
Già nel 2015 le Nazioni Unite avevano inserito fra i 17 “Sustainable Development Goals SDG” un obiettivo ad hoc dedicato a rendere le città più inclusive, sicure e sostenibili, indicando nella progressiva urbanizzazione un fenomeno che andava studiato e gestito con urgenza. La diffusione del Covid-19 è stata la catastrofica conferma del fatto che viviamo in un macro sistema fortemente interconnesso al quale appartengono persone, animali, piante e ambiente, e che la salute dei singoli elementi è strettamente dipendente da quella di tutti gli altri.
Con l’espressione Urban One Health si definisce quindi, più nello specifico, un orientamento strategico che, integrando discipline diverse, dall’architettura alla medicina, dall’ingegneria alla sociologia, delinea le azioni di governare del territorio e di tutela della salute favorendo i processi di rigenerazione delle città. In effetti, le condizioni ambientali, climatiche e sociali dei nuclei urbani si riflettono non solo sulla qualità della vita dei residenti, ma anche sul benessere di interi e più vasti ecosistemi: basti pensare che le aree metropolitane contribuiscono per il 70% alle emissioni globali di carbonio e per oltre il 60% all’uso delle risorse.
Gli effetti negativi della urbanizzazione non regolamentata
I comportamenti non sostenibili, i cicli di consumo e produzione malsani, il degrado e l’inquinamento del suolo, la deforestazione e la perdita di biodiversità stanno minacciando l’integrità dell’ambiente terrestre, ma i pericoli maggiori sono provocati e aggravati dall’urbanizzazione rapida e non regolamentata. Fattori come la cattiva gestione dei rifiuti, la sottovalutazione dell’inquinamento atmosferico, acustico, luminoso, lo spreco idrico, contribuiscono al peggioramento della salute dell’uomo, dei vegetali (inclusi quelli per uso alimentare) e degli animali, compreso il bestiame e la fauna selvatica. E giocano un ruolo di rilievo anche nella genesi dei disastri climatici contemporanei, primi corresponsabili della diffusione degli agenti patogeni su scala globale.
Le nuove Health City per un’unica salute circolare
Nei progetti delle nuove Health City i servizi sanitari sono però solo una parte dello scenario, perché anche l’assetto urbanistico e la presenza di aree verdi, i trasporti a basso impatto, il contesto occupazionale, l’offerta educativa e i servizi di prossimità sono variabili che incidono in maniera diretta sul benessere degli abitanti. Ragionando in termini di un’unica salute “circolare”, la pianificazione in chiave One Health delle città diventa così un elemento cruciale per garantire la sopravvivenza delle future generazioni e per migliorare la qualità della vita degli odierni residenti.
L’OMS caldeggia per esempio la creazione di aree verdi di prossimità: si è infatti verificato che se ogni cittadino europeo potesse disporre di 5.000 mq di verde a 300 metri dalla propria abitazione si potrebbero evitare 43.000 decessi prematuri all’anno, perché gli alberi fungono da filtri naturali contro l’inquinamento atmosferico, con la fotosintesi catturano anidride carbonica (circa 25 chilogrammi per albero all’anno) e hanno un’azione raffrescante. Si è calcolato che, qualora parchi, giardini e zone erbose arrivassero a coprire il 40% della superficie urbana si potrebbe ottenere una riduzione della temperatura al suolo tra gli 8 e i 12 gradi centigradi.
Italia seconda in Europa e Milano prima città italiana per certificazioni verdi
Considerando che oggi si vive il 90% del tempo all’interno di spazi confinati, intervenire con una progettazione il più possibile virtuosa sul Dna dei nuovi fabbricati, pubblici e privati, e ristrutturare gli edifici preesistenti migliorandone l’efficienza, significa generare benefici sia in termini di salute che economici per tutta la popolazione. Le linee guida di questa visione sono state codificate da apposite Green Building Certification, e, fra queste, le più diffuse sono LEED (Leadership in Energy and Environmental Design), BREEAM e WELL Building Standard, che certifica il grado di benessere degli utenti all’interno di edifici e città focalizzandosi sugli elementi del progetto, della costruzione e della gestione degli immobili. I parametri previsti da questi protocolli hanno profondamente trasformato il modo di progettare e di costruire, spostando l’attenzione su aspetti come la ventilazione, l’impronta idrica, la qualità dell’illuminazione e il livello di emissioni, da abbassare in maniera drastica in base agli impegni assunti con l’Agenda 2030 e con il Green Deal europeo a scadenza 2050.
In Italia, per esempio, l’insieme degli edifici certificati LEED-GBC al 2023 ha garantito un risparmio di 330 mila tonnellate di scarti edilizi, 170 mila tonnellate di CO2 e di 1,3 miliardi di litri di acqua, per un controvalore economico di 68 milioni di euro. A Milano, dove sono in progress di Welcome, il primo ufficio biofilico italiano progettato da Kengo Kuma Associati in zona Parco Lambro, e di BiM, il modello di rigenerazione etica e sostenibile promosso da Studio Piuarch col paesaggista Antonio Perazzi sul sito della ex fabbrica Pirelli, nel quartiere di Bicocca, è la prima città italiana per numero di edifici certificati e la prima al mondo con un intero quartiere integralmente certificato – quello di Porta Nuova -, e l’Italia è anche seconda in Europa, dopo la Spagna, per numero di certificati emessi.
I vantaggi della bioedilizia
Non ultimo, dopo l’uscita progressiva dell’industria dalle città, ci sono enormi complessi produttivi dismessi da reinventare quanto a funzioni: ne è un esempio il recupero di Manifattura Tabacchi a Firenze, la ex fabbrica dei Monopoli di Stato da poco riconvertita in un vivace quartiere contemporaneo). Lo smart working ha spostato l’attenzione sulle aree esterne da sfruttare per il lavoro ma anche per l’aggregazione e l’attività fisica, ed è in crescita la domanda di cohousing, di studentati e di luoghi polivalenti e sicuri, di cui si è sentita la mancanza quando si dovevano collocare gli hub per tamponi e vaccini. Tutto questo, sempre in un’ottica One Health, suggerisce una profonda revisione del tessuto urbano che può portare solo vantaggi. In base alle più recenti statistiche, infatti, i quartieri costruiti secondo i principi della bioedilizia risultato soggetti a una minore incidenza della criminalità. Nelle scuole costruite in legno o dotate di ampi giardini e in cui le aule sono illuminate da luce naturale migliorano gli indici di apprendimento da parte degli studenti. I pazienti ospedalizzati che possono vedere dalla finestra della loro stanza un panorama naturale hanno una degenza inferiore di circa il 10%.