Non è sempre facile riflettere su alcune delle problematiche che la medicina di oggi pone alla nostra attenzione, assumendo la prospettiva One Health. Ogni concetto richiederebbe una vera e propria rivoluzione culturale, per andare oltre la logica digitale e approdare al pensiero della complessità. Secondo Edgar Morin ciò che è umano è anche complesso; secondo lui c’è complessità quando sono inseparabili le componenti che costituiscono un tutto e c’è un tessuto interdipendente, interattivo e inter-retro-attivo fra le parti e il tutto e fra il tutto e le parti.
Soluzioni efficaci per problemi complessi
È la grande lezione che la recente pandemia da Covid ci ha trasmesso, mostrando in modo inequivocabile come solo un approccio One Health potrà aiutarci ad individuare soluzioni efficaci per problemi complessi. In questa chiave un altro muro da abbattere è quello della iper-specializzazione, che ha creato una vera e propria frammentazione del sapere, lasciandoci confusi e smarriti davanti ai quesiti inediti con cui dobbiamo confrontarci giorno per giorno.
La distinzione tra cultura umanistica e cultura scientifica ci appare oggi fortemente problematica; aver affidato alla prima la riflessione sull’uomo e sui fondamentali problemi umani, e alla seconda la scienza, ha creato più problemi di quanti non ne abbia risolti. La cultura scientifica, svincolata dai suoi riferimenti alla cultura umanistica, pur avendo prodotto scoperte straordinarie, senza una adeguata riflessione sull’uomo, ha reso difficile, quasi impossibile, comprendere come si possa mettere l’uomo, soprattutto se malato, al centro dell’agire medico. E ha reso altrettanto difficile comprendere il divenire della stessa scienza. Per questo oggi si cerca di interpretare la realtà cercando di ri-mettere insieme le due visioni, quella umanistica e quella scientifica, perché solo così è possibile superare quella mancanza di visione globale che comporta anche l’indebolimento del senso di responsabilità: ognuno si sente responsabile soltanto di ciò in cui è specializzato.
Real World Evidence (RWE)
Il valore dell’unità del sapere, con il superamento della doppia scissione tra sapere umanistico e sapere scientifico da un lato, e iper-specializzazione dall’altro sta creando nei ricercatori una nuova esigenza che impone una decisa evoluzione sul piano scientifico, con la valorizzazione di un approccio definito Real World Evidence (RWE). L’espressione RWE si riferisce alle informazioni ottenute dall’analisi di dati dei pazienti (RWD, Real World Data) generati durante la pratica clinica di ogni giorno, cioè al di fuori dei tradizionali studi randomizzati controllati (RCT). Rappresenta un diverso modo di far ricerca, in cui l’uomo, il paziente con il suo vissuto, le sue sensazioni, la sua stessa riflessione critica, diventano centrali nella produzione e nella elaborazione di dati essenziali per la ricerca che si sta conducendo.
L’analisi dei dati real world (RWD) diventa un supporto decisionale per l’intero sistema sanitario, compresi gli enti regolatori, le società di assicurazione e le varie aziende farmaceutiche. La Real World Evidence sopperisce infatti a un limite specifico dei trial clinici, ossia alla loro difficoltà a generalizzare le informazioni prodotte dalla popolazione che realmente riceve, o riceverà, un determinato trattamento, sia che si tratti di un farmaco, o di un dispositivo medico, o di altre terapie non farmacologiche, come la fisioterapia o la psicoterapia. Potremmo definirlo un approccio che restituisce alla soggettività del paziente un ruolo di co-protagonismo accanto a metodologie finora esclusivamente centrate su indicatori biochimici, misurabili e quindi quantificabili e controllabili nel tempo. Ma un’oggettività fredda e distaccata, proprio in quanto “oggettiva” non esaurisce il percorso di sorveglianza continua di cui hanno bisogno i pazienti, i clinici, le aziende e gli stessi decisori politici.
La Real World Evidence (RWE), basata sulle prove derivanti dall’osservazione della complessità nel mondo reale di cui fanno parte pazienti e clinici, ricercatori e amministratori, assume un’importanza fondamentale nel momento delicato delle decisioni strategiche. L’efficacia e la sicurezza di un farmaco, ma anche di determinate procedure, vanno valutate su una popolazione più vasta ed eterogenea rispetto a quella dei trial clinici. La RWE fornisce in questa prospettiva informazioni preziose che possono rivelare effetti collaterali rari, identificare sotto-gruppi di pazienti che rispondono meglio al trattamento o scoprire nuove indicazioni terapeutiche. Sono le evidenze reali la vera base per una valutazione a lungo termine dell’efficacia e della sicurezza di un farmaco e di una serie di procedure.
Real World Data, malattie rare e HTA
La Medicina si sta spostando verso un approccio sempre più personalizzato e la RWE costituisce un pilastro per valutare i successi terapeutici tangibili ottenuti dai pazienti. In particolare per i malati rari per i quali sussistono ancora oggi una serie di difficoltà legate proprio alla logica dei piccoli, e a volte dei piccolissimi numeri. Per i malati rari e per i farmaci orfani l’approccio proposto dalla RWE intercetta positivamente anche la linea dell’Health technology assessment – HTA – applicato in modo multidimensionale ai piccoli numeri, con le sue varianti specifiche nell’ambito della valutazione della ricerca e dell’assistenza. L’HTA ha da tempo inserito nella sua cabina di regia un fattore innovativo: il giudizio di appraisal, per il quale le emozioni sono frutto di un giudizio di coscienza, che merita di essere tenuto nella massima considerazione. La vita emotiva del paziente non è un fattore di distorsione nei processi di valutazione, al contrario caratterizza tutti i processi di valutazione e di decisione.
Si dice spesso che gli investimenti nella ricerca delle malattie rare, soprattutto sul piano farmaco-terapeutico, sono scarsi e inadeguati, mentre assai probabilmente la difficoltà principale sta nella inadeguatezza della metodologia con cui ancora oggi si valuta la ricerca delle Malattie rare, caratterizzate dai piccoli numeri, utilizzando gli stessi criteri della metodologia della ricerca utilizzati per patologie con una frequenza e un impianto epidemiologico ben diverso. Non è solo questione di quantità, è in gioco l’accettazione di un diverso criterio di valutazione della qualità della ricerca, della sua attendibilità e quindi della applicazione dei risultati sul piano clinico. Ragionare sulle malattie rare assumendo un’ottica One Health, significa rafforzare i piani di prevenzione con un approccio globale per fronteggiare le conseguenze relative a diagnosi tardive o ad effetti legati, per esempio, a malnutrizione, quando mancano enzimi ed aminoacidi essenziali. Occorre recuperare una visione unitaria della salute dell’uomo, senza spaccature tra salute intesa come benessere fisico e salute intessa come benessere psicologico e spirituale.
Il malato raro, sorgente infinita di risorse
La visione One Health intreccia cura e assistenza, con una riscoperta dell’unitarietà dei bisogni del paziente e una nuova considerazione della sua singolarità, capace di fornirci valutazioni inequivocabili davanti alla domanda come stai, come ti senti… La nostra salute è strettamente interconnessa ad un ecosistema umano, culturale e sociale e la sfida del futuro sarà quella di non perdere di vista questa stretta rete di interconnessioni, soprattutto nel caso delle malattie rare e rarissime. Il pensiero della complessità punta ad integrare le molteplici diversità in cui si imbatte attualmente la medicina senza negare le differenze e senza trasformarle in discriminazioni. Il malato raro da questo punto di vista è una sorgente infinita di risorse, che permette di elaborare un nuovo modo di impostare cura e ricerca, a partire dalla soggettività dei bisogni e dalla originalità delle proposte, con il suo diritto ad una diagnosi precoce e alle cure, che deve ricevere dal SSN non nonostante la sua rarità, ma proprio per la sua rarità. L’ascolto del paziente sta tornando ad essere il punto di riferimento di una medicina che cura, non solo in virtù delle tecnologie disponibili, ma in riferimento alla intensità di una relazione, in cui il paziente si sente riconosciuto come uomo, nella sua integrità identitaria, e nella complessità delle sue patologie.