Nell’anno che si è appena concluso, la Sanità veneta è stata protagonista di un grande impegno, sottolineato da un significativo aumento dell’attività rispetto al precedente. È il segno di una sensibile ripresa dopo l’incredibile lavoro che ha visto protagonisti i nostri professionisti e le nostre strutture negli anni della pandemia. Ma è anche il risultato di una programmazione e di una pianificazione che, nonostante innegabili difficoltà, ha come solo obiettivo dare risposte ai cittadini.
I numeri
Le voci che traducono questo aumento di attività riguardano i ricoveri, 640.799 nel 2023 a fronte di 618.855 nel 2022 (più 4%); gli interventi chirurgici, 488.976 a fronte di 471.939 del 2022 (più 4%); le prestazioni di specialistica ambulatoriale, 10.389.452 a fronte di 9.952.965 del 2022 (più 4%); le prestazioni di specialistica ambulatoriale complessa, 109.003 a fronte di 103.779 del 2022 (più 5%); gli accessi ai Pronto Soccorso, 1.839.778 a fronte di 1.778.775 del 2022 (più 3%); gli accessi ai Pronto Soccorso pediatrici, 244.461 a fronte 193.081 del 2022 (più 7%); l’attività del Suem 118, con 479.993 missioni complessive a fronte di 444.761 del 2022 (più 8%). La pronta presa in carico delle emergenze e delle urgenze, inoltre, appare significativa con la gestione di 845.408 chiamate.
Tina Anselmi e i 45 anni del SSN
Sono numeri che meglio di tante parole onorano il quarantacinquesimo anniversario dell’Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, quel mutamento epocale che ha traghettato i cittadini in una sanità universalistica, abbandonando quella mutualistica, contrassegnata da una miriade di sigle differenti tanto quanto l’erogazione dei rispettivi servizi. L’applicazione di una garanzia ed un’uguaglianza di diritti che fu varata proprio da un grande veneta: Tina Anselmi, che dopo essere stata la prima donna a diventare Ministro della Repubblica, al Lavoro, in un successivo Esecutivo occupò il vertice del dicastero alla Sanità.
La carenza di personale medico: una questione non solo veneta
Forse anche sull’onda di questa eredità, la sanità veneta è un riferimento nel panorama nazionale. Al settore è dedicata una buona parte del bilancio regionale e i nostri sanitari lavorano tanto e lo fanno bene, sfidando tra molte difficoltà anche le conseguenze di leggende metropolitane che danno voce a una riduzione di operosità. Ciononostante nessuno potrebbe negare che il sistema nel suo complesso è in una fase problematica, a cominciare dalla criticità nazionale della carenza di personale e, soprattutto, della difficoltà ad arruolarne.
Come affrontare il fenomeno
Basta pensare che con 131 concorsi espletati per l’assunzione di medici, la Regione ha messo a bando 1.023 posti. Ma il vero dato eclatante è che soltanto 390 hanno trovato copertura, per mancanza di professionisti. È la prova che la Regione fa di tutto per reperire nuovi medici ma si scontra con un quadro normativo nazionale consolidato negli anni passati, a cominciare dal numero chiuso per l’accesso alla facoltà di Medicina, che rende problematico occupare le caselle mancanti.
Arrivare a coprire 390 posti su 1.023 banditi è come essere costretti a lasciare due ambulatori su tre senza medico. Non è un problema solo del Veneto; in tutto il Paese mancano circa 50 mila camici bianchi. Abbiamo raggiunto livelli elevatissimi negli investimenti nella formazione, sulle attrezzature, sui team e sulle strutture. Ma la situazione ci impone di cogliere ogni sfida con una visione innovativa a cominciare dal superamento del numero chiuso all’università. Ma non solo. È opportuno cominciare a valutare che chi ha raggiunto l’età pensionabile possa proseguire, se vuole, il suo lavoro. È un abile ed esperto professionista che diversamente ritroviamo nella struttura privata.