Di cosa parliamo quando diciamo Health & Life Sciences? Come sempre capirsi sui termini è fondamentale se si vuole impostare un dibattito serio su un comparto che – senza nessuna retorica – possiamo a buon diritto definire come una risorsa strategica per il Paese, visto l’accesso universalistico alle cure che caratterizza il nostro Sistema Sanitario Nazionale, ma anche l’importanza crescente di un settore trainante dell’economia italiana. È dunque importante iniziare a familiarizzare con le parole con le quali, già oggi, quel futuro si sta costruendo. Le parole Scienze della Vita o Life Sciences racchiudono la ricchezza e la complessità di una filiera che è il frutto di quell’interconnessione tra tecnologie, conoscenza e visione, tipica dello spirito del nostro tempo. Non cogliere questi nessi è rischioso, sia per le aziende che per il Paese. Riconoscerli, valorizzarli e porre le condizioni del loro sviluppo è un dovere per chiunque voglia contribuire al progresso nel senso più alto del termine.
Il Centro studi Life Sciences di Assolombarda ci aiuta a definire l’ampio perimetro di questo settore. C’è in primo luogo l’industria farmaceutica, che spazia dalla produzione di farmaci e di principi attivi fino ai dispositivi medici, ci sono le imprese che garantiscono con la loro attività commerciale che questi prodotti arrivino ai pazienti e ci sono naturalmente i servizi sanitari e socio-sanitari, dagli ospedali ai servizi di assistenza. In sintesi, la filiera delle Life Science copre tutto quanto ha un impatto sulla salute delle persone: dalla ricerca e sviluppo di nuovi farmaci alla loro distribuzione, fino all’erogazione, attraverso il vasto sistema sanitario, di tutti quei fondamentali servizi. Tutto questo in una logica che vede una compresenza tanto del settore pubblico quanto di quello privato. Il valore della produzione della filiera Life Sciences raggiunto nel 2021 in Italia è stimato a 250 miliardi di euro con un valore aggiunto per il Paese che supera i 105 miliardi di euro, il 10,6% del PIL italiano. Sono dati che parlano da soli e che ben rappresentano non solo il contributo che già oggi le Scienze della Vita danno all’economia italiana ma ci offrono anche la misura del loro potenziale di crescita. Una crescita che non deve essere vista solo dal punto di vista quantitativo ma anche e soprattutto – se si vuole sviluppare un ragionamento di carattere strategico – dal punto di vista qualitativo.
Parlare di qualità vuol dire innanzitutto parlare di persone, perché nell’economia della conoscenza le competenze costituiscono il più importante fattore di competitività. Nel 2019, la filiera delle Life Sciences ha coinvolto complessivamente circa 1,8 milioni di donne e di uomini in tutta Italia. Qualche dato può aiutare a capire perché questo capitale umano è così prezioso. Se analizziamo il solo settore farmaceutico, il primo elemento della filiera, scopriamo che tra il 2017 e il 2022 l’industria farmaceutica ha visto crescere l’occupazione del 9,2%, più della media nazionale attestata all’1,6%, puntando su ricerca e sviluppo grazie a investimenti cresciuti nello stesso quinquennio del 22%. Anche per questo dei 68 mila addetti nel farmaceutico il 90% è formato da laureati e diplomati, l’unico modo per permettere alle imprese del farmaco di immettere nel sistema italiano 2 miliardi di euro per ricerca e sviluppo, il 6,8% del totale degli investimenti in Italia.
È un primato qualitativo anche quello che vede la salute al primo posto nella classifica dei settori che investono in digitalizzazione, con una crescita nel 2021 del 9%, più del comparto bancario. E le stime al 2025 prevedono ritmi di crescita ancora più sostenuti, superiori all’11% per una transizione digitale che è solo agli inizi e che, ancora una volta, avrà bisogno di essere sostenuta da una formazione adeguata e dalla creazione di nuove competenze per tutte le figure professionali. Puntare sulle Scienze della Vita vuol dire puntare sul futuro del Paese nel suo insieme, vuol dire creare valore facendo leva sulle interconnessioni: information technology, ricerca pura, università, scuola, servizi alla persona, cultura digitale e molto altro ancora. Perché le imprese, nel pubblico come nel privato, possano continuare a investire e a creare quel valore aggiunto che oggi rappresenta più di un decimo del nostro Pil, la prima delle cose da fare sarà garantire il capitale umano necessario, formando talenti per alimentare il sistema della ricerca e mantenere il ruolo di punta dell’Italia a livello globale. Per continuare a investire dovremo essere capaci di garantire un aggiornamento professionale eccellente, adeguato alla reputazione a livello mondiale del nostro sistema di welfare. Per continuare a investire dovremo organizzare la più grande campagna di alfabetizzazione digitale che questo Paese abbia mai conosciuto per formare cittadini in grado di relazionarsi, non solo con un nuovo modo di fare prevenzione e salute ma con un linguaggio nuovo che ci permetterà di parlare al futuro.