Nel 2016 vedeva la luce un progetto chiamato H-Maps.
Già dalla scelta del nome, nella convinzione che la cura cominciasse dalla parola, scegliemmo di utilizzare la lettera h davanti a maps affinché rimandasse da un lato alla parola Hospital, ma dall’altro alle parole Healing ed Hope.
L’intento di H-Maps è stato, ed è tuttora, quello di progettare e disegnare mappe di percorsi terapeutici per orientare i pazienti attraverso i protocolli di cura, attraverso la malattia, ma anche attraverso i meandri ospedalieri e i labirinti linguistici con cui si esprimono concetti che sarebbe diritto di tutti poter comprendere.
La metodologia usata per realizzare le mappe è questa: ogni esame, visita o seduta di terapia che compongono un protocollo di cura per una specifica patologia, diventano tappe del percorso di cura totale.
Ogni tappa è corredata da alcune informazioni molto pratiche e logistiche (durata, svolgimento, cose da sapere) con l’obiettivo di rendere la persona più consapevole, meno spaventata, ma soprattutto di riportarla al centro della propria cura.
La tipologia delle informazioni fornite per ogni tappa scaturiscono da una ricerca sul campo con i pazienti, con i curanti e con tutti gli stakeholders coinvolti nella cura (comprese le dirigenze ospedaliere).
In questo modo emergono i numerosi bisogni nascosti – i famosi unmeet needs del settore healthcare. Uno dei più potenti è stato quello dell’esigenza di comprensione.
Comprensione nel senso sia di “intendere appieno”, sia di “riuscire a contenere” dentro di sé.
Molti pazienti, per esempio, sono reticenti nel porre quesiti ai propri medici; altri, nella confusione degli ambulatori ospedalieri, preferiscono fuggire il prima possibile da quegli ambienti, altri, semplicemente, non sanno che domande porre.
I curanti, dal canto loro, ripetono una serie di informazioni importanti con la frustrazione di chi sa che rimarrà inascoltato.
Ci siamo allora chiesti come rispondo oggi pazienti o i caregivers all’esigenza di comprensione: di solito vige l’ascolto di altre persone con percorsi (forse) simili ma, il più delle volte, si ricorre al “Dottor Google”. Ci si imbatte a questo punto in una marea di contenuti non verificati, magari approssimativi e magari senza gli strumenti necessari per scegliere la fonte corretta da seguire.
Da queste premesse nasce il primo prototipo di H-Maps in collaborazione con il Policlinico San Martino di Genova e i suoi due reparti di emato-oncologia. Con l’aiuto degli ematologi e di altri i clinici abbiamo cercato uno strumento che ci permettesse di rispondere ai bisogni dei pazienti: di essere orientati nel loro percorso e di trovare risposta a domande meno “mediche” ma più pratiche che potessero conciliare la parte della cura con la parte della quotidianità della vita che continuava a procedere.
“Quanto dura la terapia?”, “Quando mi cadranno i capelli?”, “Se faccio la TC poi resto radioattivo?”.
Come prima cosa abbiamo mappato l’intero percorso di un ipotetico paziente in cura per Linfoma di Hodgkin con il protocollo ABVD che nel 2016 rappresentava un iter ampiamente condiviso a livello internazionale ed utilizzato da decenni.
Dall’incrocio tra la mappatura e la ricerca etnografica ci siamo accorti che una delle problematicità più dolorose riguardava un misunderstanding dovuto alla non condivisione dello stesso linguaggio.
Come funziona H-Maps?
Faccio un esempio per rendere il tutto più chiaro.
Per curare il Linfoma di Hodgkin con il protocollo ABVD sono necessari 6 CICLI di terapia.
Ogni ciclo è composto da 2 SEDUTE ed ogni seduta avviene ogni 15 giorni. In teoria sembra un concetto semplice da spiegare, ma dalle interviste effettuate non era così.
Non era così perché metabolizzare tante informazioni all’atto della diagnosi era un fatto complesso, così come usare parole diverse e non avere la stessa gerarchia delle informazioni.
Il personale ospedaliero aveva infatti osservato che alla 6° seduta di terapia molti pazienti fossero convinti di aver concluso le loro cure. A quel punto del protocollo la fragilità era alta, l’intossicazione avanzata e, in sintesi, i pazienti erano stanchi e provati a quel punto del percorso. Scoprire di non essere alla fine, ma solo a metà, poteva essere decisamente sfiancante. Anche per i curanti che, con ogni probabilità, all’atto della diagnosi avevano già illustrato l’effettiva durata del protocollo.
Siamo allora intervenuti con la scelta di realizzare due prodotti cartacei che sarebbero stati rilasciati dal personale medico ed infermieristico ai pazienti in modo che questi ultimi, una volta a casa, avrebbero potuto riguardare, fissare alcune delle informazioni ricevute che, in questo caso, avrebbero avuto come “fonte” la struttura ospedaliera che li aveva in cura.
Si trattava di:
1) Un pieghevole con la visualizzazione infografica del percorso di cura
2) un piccolo libretto tascabile che raccoglieva una breve descrizione per ogni tappa e, in aggiunta, organizzava in un unico posto tutte le agevolazioni che il paziente poteva trovare in quella specifica struttura ospedaliera (il parcheggio gratuito, lo sportello del malato, ecc…).
Con H-maps non stavamo inventando nulla che non ci fosse già: avevamo solo reperito, riorganizzato e reso chiare ed accessibili tutte le informazioni presenti.
A seguito delle prime mappe pilota realizzate, H-Maps oggi si impegna nell’identificare i bisogni delle persone che si trovano a dover intraprendere una cura sia per patologie acute che croniche, partendo sempre dalla ricerca sul campo, dall’ascolto degli utenti e di tutti gli attori interessati.
Da quanto emerge con la ricerca etnografica, procediamo poi in collaborazione e co-progettazione con le strutture sanitarie, con i pazienti, le associazioni e le Fondazioni per trovare soluzioni personalizzate, sostenibili e che mettano SEMPRE le persone al centro.