Il tempismo è tutto e in ogni storia c’è sempre un prima e un dopo.
In una investigazione il fattore “tempo” fa la differenza:, se un’indagine si fa nel momento in cui il fatto è accaduto si raccolgono molte più informazioni che possono essere utili a risolvere l’enigma il prima possibile. Le informazioni, i dati sono fondamentali, e la celerità nell’analizzarli pure. Prima si hanno i risultati di un’indagine, prima si capisce di cosa si tratta e prima si cerca di risolverla.
L’elemento temporale, ovvero una delle 3 W (who, when, where: rispettivamente, chi, quando e dove), è importante per trovare il “colpevole” anche in una indagine epidemiologica su una epidemia o pandemia, così come il “colpevole” di un qualunque atto che leda la salute umana.
Certamente, pensando all’ultimo evento che l’umanità ha incrociato, la pandemia da Covid-19, il ‘quando‘ in questa storia è (ancora) un po’ sfumato. Possiamo partire dalle feste natalizie del 2019, scivolate via – per chi si occupa di salute – tra i consueti allarmi legati ai casi di influenza in aumento (con i pronto soccorso, come ogni anno, affollati di pazienti, non dimentichiamolo) e ai chili sulla bilancia, anch’essi in aumento come da tradizione, grazie alle abilità culinarie delle cuoche di casa e in barba ai ben noti benefici della dieta mediterranea. Mentre il ‘dove‘ (Where) è la Cina. Proprio il 31 dicembre arriva, infatti, all’Organizzazione mondiale della sanità la notizia di un misterioso focolaio di casi di polmonite a eziologia ignota che preoccupa le autorità cinesi di una sconosciuta (all’epoca) megalopoli di nome Wuhan, nella provincia dell’Hubei.
Fin dai tempi dell’influenza aviaria e della pandemia di ‘suina’ del 2009 è probabile ormai (agli scienziati, ma anche agli sceneggiatori di Hollywood) che si possa individuare da dove verrà il nuovo virus pandemico che molti ricercatori, epidemiologi e persino multimilionari del tech, attendono da qualche anno. Ricordiamoci sempre, però, che un qualunque evento di spillover è casuale così come è casuale la mutuazione che lo provoca. Quindi non si possono fare previsioni in ordine di tempo. Probabilmente, arriverà una prossima pandemia ma non potremmo dire quando. Ecco perché ogni segnale di un misterioso patogeno da Oriente viene seguito con attenzione, a noi fa paura tutto ciò che non conosciamo.
Sembra la sceneggiatura di un film, ma tutto è tranne che sceneggiatura: i virus insoliti consentono titoli e occhielli curiosi (ad esempio Virus del Nilo, Virus Zika), capaci di catturare l’attenzione di giornali e tv. Così, ai primi di gennaio del 2020 scoprimmo che c’era un nuovo, misterioso e lontano (almeno allora sembrava tale) nemico in Oriente, e che avremmo dovuto seguire con attenzione. In pochi giorni si contarono 41 casi, molti di loro lavoravano al mercato del pesce e di animali di Huanan, in centro città. Il 7 Gennaio le autorità cinesi identificano il nuovo virus chiamato 2019-nCoV,della famiglia dei coronavirus, come la SARS e il raffreddore. Durante la pausa natalizia universitaria iniziammo subito a studiare il virus utilizzando le conoscenze di una epidemiologia molecolare che utilizza il genoma del microrganismo. Con le poche sequenze già rese disponibili dai ricercatori cinesi, che immediatamente isolarono e sequenziarono il virus, abbiamo iniziato le nostre analisi.
Eravamo un gruppo ben nutrito che lavorava in contemporanea tra Italia, Brasile e USA (Il Campus Biomedico, l’istituto Osvaldo Cruz di Bahia e l’università della Florida). Gli orari per noi erano quasi proibitivi, iniziavamo alle due di notte,: in casa, nel silenzio assoluto, mi sentivano discutere animatamente con i miei colleghi di oltreoceano. Quelle nottate, però, furono fruttuose: infatti, dal 25 gennaio già uscirono due lavori prodotti sulla più probabile idea di uno spillover dal pipistrello all’uomo e sulla possibile data di questo passaggio zoonotico animale uomo ( jmv e pathogen and global health). Il 14 Gennaio si registravano, intanto, i primi casi fuori dalla Cina, in Thailandia a causa di un viaggio di una donna di 62 anni da Whuan.
Il 9 gennaio 2020 il Cdc cinese riferisce di avere identificato un nuovo coronavirus, il Sars-CoV-2, (ecco il ‘chi’ o ‘Who’ che ci mancava), come agente causale della malattia respiratoria poi denominata Covid-19. La Cina poco dopo rese pubbliche tutte le sequenze genomiche da loro elaborate,: questo permise la realizzazione immediata di un test diagnostico e successivamente quella dei vaccini.
Capimmo di essere di fronte a un nuovo virus, lontano e ancora tutto da scoprire. E ci chiedemmo quanto fosse grave, ma anche per quanto tempo avrebbe tenuto banco. Perché in realtà queste emergenze sanitarie di origine ‘esotica’ hanno tutte una fine. In genere dopo qualche settimana (o qualche mese) il patogeno protagonista di tanti articoli finisce nel dimenticatoio, per essere poi rispolverato solo in occasione della realizzazione di qualche scheda di approfondimento o di un congresso specializzato.
Intanto, però, i casi aumentavano, anche se con il contagocce: a sfogliare i giornali di quelle settimane, in Italia non sembra esserci particolare allarme. L’Organizzazione mondiale della sanità assicurò di aver ricevuto la segnalazione e di indagare sul caso. Si trattava di una zoonosi, e l’animale sospettato di essere all’origine di quello che all’epoca si riteneva un focolaio circoscritto (con quanto ottimismo, lo abbiamo visto solo dopo) era il pipistrello. L’origine, ancora una volta, sembra da ricercare in uno dei tanti mercati cinesi dove animali vivi e morti sono a stretto contatto e l’igiene, da sempre, latita (e questo potrebbe essere il perché ‘Why’), anche se più tardi l’attenzione del mondo si concentrerà su un laboratorio di Wuhan in cui vengono studiati patogeni pericolosi.
Mentre l’Italia era alle prese con il ritorno alla normalità e le vacanze erano state definitivamente archiviate, il caso esplose. E’ il 18 gennaio, e Neil Ferguson dell’Imperial College di Londra sbriciolava in un colpo i numeri che arrivano dalla Cina. Secondo i ricercatori britannici, infatti, i casi di contagio legati al virus misterioso in Cina non erano le poche decine ‘censite’ dalle autorità, ma – sulla base di un complesso modello matematico che teneva conto dei casi già esportati in Thailandia e Giappone – sarebbero state ormai “diverse migliaia”. Il primo obiettivo era di avere un parere sull’affidabilità dello studio e del suo autore, oltre a un giudizio sulla situazione (What, ovvero cosa sta succedendo?). Neil Ferguson (super-consulente di Boris Johnson poi dimessosi dopo lo scandalo dei suoi incontri con l’amante in pieno lockdown) era fra i più grandi modellisti al mondo, e sembrò subito, a parere di esperti epidemiologi, che le sue previsioni fossero più che attendibili. Ne vennero fuori articoli cliccatissimi sul web e la vicenda guadagnò spazio su giornali e tv. E’ fu a quel punto che iniziò il sospetto che quello che stavamo vedendo fosse solo la punta di un iceberg, e che la realtà fosse terribilmente diversa. Nonostante ciò, il 18 gennaio l’Ecdc (il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie) giudicòa “bassa” la probabilità di introduzione del virus in Ue. (Epidemia: malattia a tendenza sociale assolutamente sgombra da pregiudizi’ :Ambrose G.Bierce). Mentre i casi aumentavano, le settimane si susseguivano in attesa che l’Oms dichiarasse l’emergenza di sanità pubblica internazionale (lo farà, alla fine, con un ritardo ancora oggi francamente inspiegabile). Intanto, il virus dilagò e si segnalarono i primi casi in Europa. L’Italia – dopo aver bloccato i voli diretti da Wuhan – si illuse di essere al sicuro. Il 30 gennaio l’Oms decide finalmente di dichiarare l’epidemia di Coronavirus in Cina come emergenza internazionale di salute pubblica, elevando la minaccia a livello “molto alto” solo il 28 febbraio 2020. L’11 marzo il direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus definì la diffusione di Covid-19 non più un’epidemia confinata ad alcune zone geografiche, ma una pandemia diffusa in tutto il pianeta. In realtà, ormai sappiamo – ce lo hanno detto numerosi studi scientifici – che il nuovo coronavirus fosse in circolazione in Cina ben prima del 31 dicembre (si parla di settembre-ottobre, ma c’è chi tende a retrodatare ancora l’inizio dell’epidemia), e che arrivò nel Nord Italia all’inizio di gennaio, se non prima (gli studi che indicherebbero la presenza del virus nel nostro Paese all’inizio dell’autunno furono in principio fortemente contestati), causando cluster di polmoniti.
Il finale di questo film lo conosciamo bene oggi: abbiamo visto picchi di casi prima numerosi poi sempre meno, purtroppo tantissimi, troppi, decessi, abbiamo con sospetto imparato a conoscere i vaccini a mRNA di nuova concezione. Abbiamo imparato a riconoscere i sintomi della malattia da Covid-19, abbiamo imparato quali terapie utilizzare, abbiamo imparato che non è un virus stagionale, conosciamo e sappiamo che muta velocemente e ci dà un calderone di “varianti” virali, sappiamo che sta diventando sempre più endemico e che sarà con molta probabilità un nostro compagno di viaggio, chissà per quanto tempo. Insomma, sappiamo molto oggi di ciò che tre anni fa ci ha costretto a delle restrizioni che mai avremmo pensato di vedere e di subire. Oggi ne siamo usciti più forti. Ma cosa stiamo facendo per prepararci ad una prossima pandemia?