C’è un momento nella vita di un Paese in cui una legge non è solo un insieme di norme, ma un faro che guida attraverso il caos. È il 2017 quando, in Italia, viene finalmente disciplinata la responsabilità medica grazie alla legge Gelli-Bianco. Un atto nato dall’urgenza di dare un volto più umano, equo e sicuro a un sistema sanitario complesso, spesso opaco, dove il confine tra la tutela del paziente e quella del medico era troppo sottile. Dietro quella firma c’è un uomo: Federico Gelli, medico e politico, che ha riformato un settore critico, appunto, trasformando dubbi e polemiche in regole chiare e trasparenti.
Il contesto
La legge Gelli-Bianco nasce anche da una necessità impellente: arginare, da una parte, il dilagare delle cause legali contro i medici, che sempre più giacevano sulle scrivanie dei tribunali e, dall’altro, un clima di crescente sfiducia e tensione fra le corsie degli ospedali.
Sempre più professionisti, temendo denunce e richieste di risarcimento, adottavano la pratica della “medicina difensiva“, preferendo proteggersi dal rischio legale invece di garantire il miglior trattamento per il paziente. Il risultato? Esami e terapie inutili, un aumento dei costi sanitari e un peggioramento dell’esperienza di cura.
Gelli ha cercato di porre fine a questo circolo vizioso, introducendo un quadro normativo più equilibrato che responsabilizza i medici ma, al contempo, ne protegge l’operato, riducendo la paura di agire. Oggi, la sfida resta quella di applicare pienamente questa visione, mantenendo il giusto bilanciamento tra tutela del paziente e serenità del professionista.
Una legge attuata al 95%
Un altro punto cardine della Legge 24/2017 è l’obbligo assicurativo, un cambiamento rivoluzionario in un contesto in cui molte strutture pubbliche e private non disponevano di alcuna copertura. Nonostante i decreti attuativi del 1 marzo scorso, la normativa attende ancora la sua piena attuazione, un 5% del totale che si sostanzia negli ultimi tre provvedimenti fondamentali.
Cosa manca per rendere operativa al cento per cento la legge che ha rivoluzionato la sanità? Lo abbiamo chiesto, in un’intervista esclusiva su One Health, al “padre” della riforma, che abbiamo incontrato a margine del suo intervento alla Festa della Salute iCare a Viareggio.
La Legge “Gelli-Bianco” del 2017, che porta il suo nome, ha rivoluzionato il mondo della sanità disciplinando la responsabilità clinica in Italia. Perché ha avuto un impatto così rilevante?
Perché ha finalmente messo mano ad un annoso problema che ha determinato nel nostro Paese circa 300mila cause legali giacenti nei tribunali. Ha incrementato quella che viene definita “medicina difensiva” e ogni anno ha un costo di circa 13 miliardi di euro. Parliamo di quella medicina che, in maniera inappropriata, viene prodotta dai medici o dai professionisti, per tutelare se stessi e non tanto i singoli pazienti e, soprattutto, per provare a riportare al centro dell’attenzione quella che definiamo “la medicina migliore”.
Questa è, in sostanza, l’alleanza terapeutica fra medico e paziente, che ha lo scopo di restituire maggior fiducia e sicurezza alle cure dei cittadini, tutelando anche i professionisti sotto i profili civili e penali, affinché possano svolgere nel miglior modo possibile e con la massima serenità il proprio lavoro.
All’approvazione della Legge hanno fatto seguito diversi decreti attuativi nel tempo…
Esatto. Alcuni sono stati emanati immediatamente dopo l’approvazione del 2017: questi disciplinano i modelli organizzativi della prevenzione del rischio, il risk management, l’introduzione presso l’Istituto Superiore della Sanità delle linee guida e, ancora, l’accreditamento delle società scientifiche per le linee guida e l’Osservatorio Nazionale della sicurezza delle cure presso Agenas.
Il primo marzo 2024 sono stati poi approvati i cosiddetti “decreti della parte assicurativa”.
Che cosa prevedono?
Introducono l’obbligo di copertura assicurativa per tutte le strutture pubbliche e private, sanitarie e sociosanitarie, prevedendo, cioè, una copertura a tutela della sicurezza e della cura dei pazienti. Ancora, disciplinano le modalità con le quali i professionisti dovranno – in qualche modo – sottoporsi a coperture assicurative, soprattutto per la colpa grave, per l’effetto della ultrattività e della retroattività della copertura assicurativa.
Vengono, inoltre, disciplinate quelle forme definite impropriamente “autoassicurazione” cioè di autoritenzione del rischio.
Cioè?
Si tratta di modalità adottate da molte aziende e Regioni e che, a mio avviso, hanno prodotto anche delle storture, perché non riuscivano a contemplare l’imprevedibilità, ad esempio, di un danno catastrofale. Adesso, con i decreti attuativi, chi vorrà adottare l’autoritenzione del rischio dovrà dotarsi di tutti gli strumenti, le competenze e i fondi necessari, compreso professionisti, esperti attuariali o assicurativi, medici legali o avvocati. Sarà poi una scelta dell’azienda o dell’ente regionale procedere con un modello rispetto ad un altro: un modello misto, un modello totalmente assicurativo oppure un modello di autoritenzione del rischio. Tutto questo viene disciplinato dai decreti attuativi.
Cosa manca, adesso, per rendere pienamente attuativa la legge?
La legge oggi è attuata al 95%. Dopo sette anni mancano ancora tre decreti strettamente legati fra loro. Ovviamente, senza il via libera dei decreti di marzo sarebbe stato impossibile arrivare a quelli successivi. Il primo delega l’Ivass a disciplinare i soggetti che intendono svolgere la funzione di gestione dei flussi informativi all’interno del Sistema Sanitario Pubblico e che dovranno necessariamente avere un impianto solido per evitare strascichi, anche gravi, lasciati da alcune compagnie assicurative in passato.
E cosa mi dice del secondo e del terzo?
Il secondo decreto prevede invece l’introduzione di un Fondo di garanzia alimentato grazie ad una percentuale di tutte le polizze contratte nel sistema sanitario, sia pubblico che privato, che permetterà di aiutare i liberi professionisti che non possono usufruire del sistema protettivo previsto per il personale del servizio pubblico e privato e che devono pagare cifre importanti sulla copertura assicurativa. La parte più rilevante del fondo sarà però riservata ai cittadini che hanno subìto un danno ma che, per diversi motivi, non hanno una copertura sufficiente. Il fondo nazionale offrirà quindi una doppia garanzia: ai cittadini e ai professionisti.
Il terzo decreto, infine, va a disciplinare le modalità di gestione dei flussi informativi fra Centri regionali del rischio clinico, Agenas e Osservatorio nazionale delle buone pratiche.