Alcuni nuovi focolai di Peste Suina Africana sono stati identificati nelle scorse ore in Piemonte, in provincia di Novara, e a Lodi in Lombardia.
Per combattere questa malattia la priorità assoluta è capirne le cause, le dinamiche e i comportamenti, soprattutto umani, che rendono più probabile la diffusione della patologia.
Il nuovo Commissario Straordinario per la PSA Giovanni Filippini ha parlato, per la prima volta e in esclusiva, ai microfoni di One Health.
Peste Suina Africana: qual è la situazione in Italia?
La situazione è molto complessa: siamo di fronte a una vera e propria emergenza sanitaria che riguarda sia il suino domestico che il suino selvatico. E vi è di più: probabilmente si tratta di una delle più importanti emergenze di sempre contro cui questo settore si trova a dover fare i conti a livello nazionale.
Ma posso rassicurare che stiamo mettendo in piedi una strategia complessiva, che stiamo condividendo con la Commissione Europea. Da una parte gestiamo i focolai il più rapidamente possibile, dall’altra parte mettiamo in campo nuove strategie, che si sostanziano come un prolungamento di vecchi percorsi mai interrotti per combattere il virus.
In termini strategici abbiamo le idee molto chiare su come intervenire. Inoltre, abbiamo un grande Sistema Sanitario, rappresentato dal Ministero, dalle Regioni e dai servizi veterinari che, insieme alla rete degli Istituti Zooprofilattici, garantisce sia i controlli che la diagnostica. Accanto a questa, nella gestione della PSA, la rete dei portatori di interesse si allarga al mondo degli allevatori, delle associazioni di categoria e dei cacciatori, che rappresentano un elemento importante di gestione, controllo e sorveglianza dei territori. Dunque, c’è un coinvolgimento molto ampio.
In qualità di Commissario Straordinario, in questo momento, sto coordinando una grande azione di controllo e contenimento del virus, dunque, in vista di una futura eradicazione della malattia.
Quali le zone a maggiore criticità?
Attualmente abbiamo focolai disseminati in tre Regioni. Il cluster più attivo e più importante si trova in Lombardia, con una ventina di focolai. A seguire, abbiamo 8 focolai in Piemonte e uno in Emilia-Romagna. Si tratta di un territorio vasto che è stato immediatamente posto in zona di restrizione e dove vengono applicate misure e provvedimenti che hanno l’obiettivo di ridurre la circolazione del virus fra gli allevamenti.
È opportuno sottolineare, poi, che abbiamo anche altri 3 cluster da non sottovalutare: Roma, Campania e Calabria. Quindi, serve la massima attenzione da parte di chiunque.
Siamo molto contenti di ciò che, invece, sta avvenendo in Sardegna, dove la malattia è stata eliminata.
È stata firmata una nuova ordinanza sulla Peste Suina Africana: quali le novità che introduce?
Ho dovuto emanare una ordinanza estremamente restrittiva perché abbiamo la necessità di eradicare il virus dalle zone infette. I territori con cluster attivi sono stati quindi messi in restrizione, con l’obiettivo di dare la possibilità di riprendersi immediatamente e di riportare la produzione delle carni suine alla normalità.
L’ordinanza riguarda quindi prevalentemente le movimentazioni tra allevamenti degli animali, del personale, dei mezzi e di tutto quanto possa veicolare anche solo indirettamente il virus. Come detto, ormai moltissime volte, si tratta di un virus aggressivo, che ha elevate capacità di infettare e di diffondersi, un alto tasso di mortalità e una grande resistenza nell’ambiente.
All’articolo 2, poi, abbiamo inserito tutta una serie di azioni di biosicurezza per gli allevamenti, perché dobbiamo assolutamente proteggerli dall’introduzione del virus. Verranno fatti dei controlli e, quando le condizioni di biosicurezza non dovessero esseri tali da poter garantire la salvaguardia dell’allevamento, saranno presi anche dei seri provvedimenti.
Cosa si intende per biosicurezza?
Si tratta di una serie di misure, elencate in un decreto emanato nel 2022, che hanno a che fare con la netta separazione fra ambiente interno e ambiente esterno.
In particolare, sappiamo che l’ambiente esterno può essere contaminato da un cinghiale affetto dal virus. Le possibilità di portare il virus all’interno possono riguardare sia il contatto con l’ambiente esterno, quindi con i cinghiali, ma anche il cosiddetto “fattore umano”: inconsapevolmente, una persona, o anche un mezzo, possono fungere da veicolo per il virus. Faccio un esempio su tutti: sappiamo che il virus, data la sua alta resistenza, rimane attivo sotto la suola delle scarpe per più di due settimane. Un allevatore che non si cambia le scarpe o non utilizza i dispositivi di protezione individuale può essere lui stesso il veicolo indiretto in un altro allevamento.
Dunque, sono necessarie sia misure strutturali, come le recinzioni, i filtri, le previsioni di igiene, sia misure gestionali di biosicurezza, cioè azioni che vengono fatte dal personale (allevatori, addetti, tecnici di determinati settori, veterinari) o dagli automezzi.
Si legge nell’ordinanza che nelle zone interessate, nelle quali si trovano i focolai, si vieta lo spostamento dei suini ma anche degli esseri umani.
Dobbiamo sempre pensare che il pericolo può essere il cinghiale, che si infetta e può trasmettere il virus al suino domestico, ma anche l’essere umano. Oggi, stando alle indagini epidemiologiche, il ruolo dell’uomo è più importante rispetto a quello dell’animale.
Che cosa può dire in merito alla caccia?
Questa ordinanza si concentra esclusivamente sulla gestione dei focolai attivi. Ma ci sono vecchie ordinanze, oltre ad un piano di cattura e abbattimento, che prevedono come debbano essere gestiti i cinghiali nei vari territori.
Certo è che, oggi, la popolazione del cinghiale è in aumento rispetto ad anni fa e questo rappresenta un grande fattore di rischio per la PSA: ovviamente, più cinghiali ci sono più occasioni ha il virus di replicarsi e fare danni. Dovremo, ovviamente, prevedere una nuova politica nei confronti del cinghiale per ricreare un corretto equilibrio tra gli animali e i territori della caccia. Su questo stiamo facendo anche altri ragionamenti.
Dal punto di vista economico-commerciale questo virus sta creando non pochi problemi. Paesi come gli USA hanno impedito l’importazione di prodotti di derivazione suina dall’Italia, e sappiamo quanto sia importante questo mercato per noi. Ci sono pericoli per l’uomo?
È importante continuare a ripeterlo per tranquillizzare le persone ed i consumatori: il virus non infetta assolutamente l’uomo, né attraverso il contatto diretto, né attraverso il consumo dei prodotti di origine suina. Non si tratta di una zoonosi.
Il problema, però, è che questo virus impatta sul settore, probabilmente il principale nel campo dell’agroalimentare industriale. Siamo, quindi, preoccupati di quelle che possono essere le conseguenze sul mercato. Alcuni Paesi stanno prendendo provvedimenti e noi rispondiamo che la situazione è sotto controllo, che stiamo lavorando per contenerla, per confinare il virus ed evitare che vada ad invadere altri territori. Le nostre strategie sono molto chiare. Come Sistema Italia siamo davvero molto bravi a gestire situazioni in emergenza.
Quanto importante è, in questa emergenza, la collaborazione con la rete degli Istituti Zooprofilattici che operano sul territorio italiano?
Nella sfortuna della gestione di questa grande emergenza abbiamo la fortuna di avere identificato tutti i focolai di Peste Suina Africana nel suino domestico in maniera rapidissima.
Il sistema di sorveglianza dei servizi veterinari è stato molto efficace: siamo stati in grado di fare diagnosi proprio all’inizio dell’insorgenza della malattia all’interno degli allevamenti. Questo, grazie al sistema di sorveglianza che abbiamo nei territori, ma soprattutto grazie alla grande risposta che abbiamo avuto dagli approfondimenti diagnostici fatti sia negli IZS competenti per territori, che dalle conferme che abbiamo avuto da parte del Centro Referenza Nazionale Pesti Suine, che è all’Istituto Zooprofilattico di Perugia. Il sistema ha dato delle risposte in tempi rapidissimi con una efficienza di altissimo livello e questo ci permette di anticipare eventuali situazioni in cui la malattia si diffonde in altri allevamenti. Adesso dobbiamo lavorare sulla biosicurezza e sulla sorveglianza dei territori, per evitare che il virus vada in zone al di fuori di quelle sottoposte a restrizioni.
Coldiretti ha chiesto degli indennizzi per coloro che hanno dovuto abbattere i suini, in maniera preventiva o a seguito della contrazione del virus. Che cosa ci può dire a riguardo?
Le azioni, da una parte, della gestione dei focolai e, dall’altra, della valutazione degli indennizzi stanno correndo parallelamente. A fronte di situazioni nelle quali gli allevatori hanno subito dei danni diretti e indiretti importanti è corretto che ci sia un intervento. Il Governo si sta muovendo in questa direzione proprio per andare incontro a chi, a causa di questo virus, sta subendo un danno.
È una sfida che si può vincere?
Assolutamente sì. Servono tempo, molta prudenza e grande determinazione nell’applicazione delle azioni previste nella strategia. Ancora, serve l’armonizzazione dei comportamenti nei diversi territori.
Questa sarà la grande azione che la struttura commissariale intende mettere in campo.