Una bella storia a lieto fine. E anche una storia di grandi capacità tecniche e indispensabile apporto di una tecnologia d’avanguardia, insieme. È accaduto nel reparto di Oculistica dell’ospedale Molinette della Città della Salute di Torino guidato dal professor Michele Reibaldi.
Un bambino di appena 40 giorni di vita è stato operato agli occhi per una condizione estremamente rara causata dalla combinazione di due patologie: una cataratta congenita e un vitreo primitivo iperplastico persistente. Una condizione, inoltre, fino a poco tempo fa quasi impossibile da operare, ma che appena una settimana fa è stato possibile grazie all’apporto in sala operatoria di un visualizzatore 3D, che ha permesso movimenti chirurgici più precisi, maggiore risoluzione e più ampia profondità di campo.
È stata la prima volta al mondo in cui un’équipe ha potuto eseguire un intervento di vitrectomia bilaterale, riuscito grazie alla professionalità e specializzazione del team da una parte e alla tecnologia rivoluzionaria e all’avanguardia dall’altra. “Vorrei che passasse il messaggio – ha raccontato in esclusiva su One Health il professor Michele Reibaldi – che a Torino non c’è un mago che ha fatto un intervento unico al mondo perché più bravo degli altri, ma ci sono state una serie di circostanze che lo hanno permesso: struttura, équipe, professionalità e tecnologia”.
Un grande chirurgo dietro al quale si cela un ancor più grande uomo, al tempo stesso curioso e spaventato dalle prossime rivoluzioni tecnologiche in campo medico
Professore, qual era la patologia del piccolo?
Il bambino era affetto da una condizione molto rara, della quale addirittura non conosco nemmeno i dati dell’incidenza, dettata dalla combinazione di una cataratta congenita e dal vitreo primitivo iperplastico persistente. Nello specifico, significa che non c’è stato un corretto sviluppo della retina, la parte posteriore dell’occhio, e del vitreo, che ha comportato, come diretta conseguenza, anche sia una cataratta secondaria che un problema importante alla pressione dell’occhio. Una patologia in cui non c’è una regressione, in particolare della vascolarizzazione che, invece, avviene durante la vita del feto. Sostanzialmente, quindi, l’occhio non si stava sviluppando né crescendo e questo avrebbe portato ben presto a completa cecità.
Qual è l’incidenza di queste patologie? E quale la causa?
Mentre la cataratta congenita colpisce circa 2 bimbi su 10mila, il secondo – il vitreo primitivo iperplastico persistente – ne colpisce circa 1 su 200mila. Possiamo dedurre, quindi, che la combinazione bilaterale di tutte e due le patologie sia davvero eccezionale benché, purtroppo, non l’unico caso al mondo.
Lo sviluppo di questa condizione è causato, almeno nella maggioranza dei casi, da sindromi sistemiche genetiche varie che, fra le altre cose, non consentono un completo sviluppo dell’occhio, soprattutto quando è bilaterale.
Che cosa è stato fatto in sala operatoria?
L’intervento, il cui termine tecnico è vitrectomia bilaterale, prevedeva di ricreare le condizioni per cui l’occhio potesse svilupparsi e vedere la luce. Abbiamo proceduto con la rimozione del cristallino (e, quindi, della cataratta congenita) e con una procedura per regolarizzare la pressione dell’occhio (eliminando le trazioni della retina che portavano a un sollevamento della stessa e, quindi, a una importante problematica pressoria dell’occhio).
Per supplire alla mancanza di cristallino, abbiamo messo al bambino delle lenti a contatto, nell’attesa di poter eseguire un impianto secondario quando avrà 2 o 3 anni di età.
La particolarità dell’intervento è stata duplice. In primo luogo, abbiamo dovuto attendere il momento migliore per effettuarlo: una finestra posta fra i primissimi giorni di vita e il tetto massimo delle 6/7 settimane. Questo, a causa del fatto che il cervello, andando avanti, avrebbe perso la capacità di recepire l’immagine senza poterla recuperare più. A questo si è aggiunta la complicazione della bilateralità: senza la particolare tecnologia utilizzata, infatti, questo intervento non sarebbe stato possibile.
Come sta adesso il bambino?
A una settimana circa dall’intervento possiamo dire che sta bene, l’occhio sta crescendo e sta funzionando. Sarebbe presuntuoso da parte mia, ad oggi, dire che il piccolo potrà vedere perfettamente. Ciò che sicuramente si può affermare è che senza questa operazione, che è andata bene anche grazie all’essenziale supporto del visualizzatore 3D, sarebbe certamente andato incontro a cecità. Insomma, siamo molto speranzosi.
Non riesco neanche a immaginare quanto possa essere piccolo il campo operatorio.
L’occhio di un neonato mediamente misura 12/13 millimetri. Questo, a causa della particolare combinazione di patologie, addirittura era di 10/11 millimetri. Si tratta di spazi tremendamente piccoli.
Per poter eseguire le manovre operatorie serve la combinazione di una strumentazione appropriata, con un diametro inferiore, e – soprattutto – la possibilità di utilizzare il visualizzatore 3D.
Quali i vantaggi di questa tecnologia così innovativa?
Solitamente, gli interventi di oculistica si eseguono guardando attraverso un microscopio, perché abbiamo bisogno di un’immagine estremamente ingrandita. Da qualche tempo, solitamente sull’adulto, operiamo guardando un monitor con degli occhiali tridimensionali che ci permettono di ricevere un’immagine che, per risoluzione e dimensioni, è circa 30/40 volte più grande di quella di un microscopio.
Con il visualizzatore 3D e il supporto di tutta la tecnologia digitale, noi riusciamo a riconoscere certe strutture e differenziarne altre. I vantaggi sono notevoli: risoluzione di gran lunga maggiore, profondità di campo molto più ampia e movimenti chirurgici più precisi.
Una rivoluzione nel campo dell’oculistica?
Sì. Purtroppo, non potremo salvare tutti i bambini affetti da altre problematiche, ma in questo specifico caso possiamo farlo. Ricordiamo che si tratta di una condizione fino a poco tempo fa quasi inoperabile: questo non significa – e spero passi questo importante messaggio – che non c’è un mago che ha fatto un intervento unico al mondo perché più bravo degli altri, ma ci sono state una serie di circostanze che lo hanno permesso. Vale a dire un gruppo di neonatologi esperti che hanno potuto spostare il bambino, l’esistenza di una unità di terapia intensiva neonatale, una struttura che accolga certi pazienti, strumentazione adatta e una tecnologia all’avanguardia.
Quali sono, secondo lei, le prospettive future?
Credo che abbiamo già raggiunto oggi un obiettivo che ci sembrava lontano e molto difficile. Ciò che – a mio avviso – accadrà è che questa tecnologia (il visualizzatore 3D e il digitale) si sposerà con la robotica.
Noi oculisti non abbiamo ancora una chirurgia robotica, poiché gli spazi sono talmente piccoli e i movimenti talmente raffinati che non esiste robot al mondo che possa fare questo, neanche il Da Vinci, che ha un range di movimento grande quasi quanto l’intero occhio umano. Patologie oggi impossibili da trattare, come l’occlusione della vena o molte che portano a importanti e definitive perdite della visione, saranno finalmente possibili.
Arriverà anche il giorno in cui l’uomo sarà sostituito dalla macchina?
La tecnologia è fondamentale: l’uomo, senza di essa, non poteva neanche immaginare di fare qualcosa di simile, in oculistica così come in altri campi.
Al momento, però, l’uomo è fondamentale. E spero di non vedere il momento in cui – se accadrà – la macchina soppianterà l’uomo.