Negli ultimi anni negli Stati Uniti sono stati registrati almeno quindici casi di contagi di influenza aviaria H5 nell’essere umano, quasi tutti con una storia di esposizione a pollame oppure bovini come possibili fonti di contagio. In un solo caso, riscontrato a inizio settembre nello stato del Missouri, l’infezione sintomatica da H5 non è seguita ad un’esposizione del paziente con animali, infetti e non. Senza un’evidenza chiara sull’origine del contagio, la vicenda ha subito suscitato l’interesse medico e mediatico della comunità internazionale. Nell’attesa di nuovi sviluppi abbiamo chiesto un punto di vista qualificato a Giovanni Cattoli, direttore sanitario dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, che fa parte della Rete degli Istituti Zooprofilattici Italiani.
Cosa è accaduto negli Usa e come si sono mosse le autorità?
Secondo quanto si apprende tutte le persone che sono entrate in contatto con il paziente infetto sono state messe sotto sorveglianza e monitorate. Alcune hanno cominciato a mostrare delle sintomatologie influenzali o simili ma è presto per capire se tali patologie siano dovute al contagio da contatto con questo primo caso di H5. Finora si parla di otto persone, una delle quali sarebbe risultata negativa al test, mentre le altre – essendo già trascorso troppo tempo – non sono state testate con la PCR che serve per svelare se c’è il genoma del virus nel paziente.
Quindi sono stati prelevati loro dei campioni di sangue per capire se hanno sviluppato anticorpi specifici contro l’H5 e, di conseguenza, se sono state esposte ad infezione. Gli esiti sierologici non sono ancora disponibili quindi non abbiamo nessuna evidenza, stiamo parlando di persone che essendo state a contatto con il paziente potenzialmente potrebbero essere state contagiate dal virus. In generale, in casi potenzialmente sostenuti da ceppi influenzali che non sono quelli classici stagionali (quelli che ogni anno portano l’influenza nell’uomo), scattano sistemi di monitoraggio e di sorveglianza molto stringenti, proprio per capire se si tratta di casi isolati oppure se ci sia il rischio, più alto, di una trasmissione da uomo a uomo che è poi quella che dobbiamo scongiurare.
Fin qui abbiamo parlato di Stati Uniti ma com’è il livello di allerta in Europa?
Siamo sempre sul chi va là: monitoriamo e sorvegliamo costantemente l’evoluzione del virus sia in Europa che qui in Italia. Come noto viene veicolato e introdotto in un determinato territorio principalmente dagli uccelli selvatici infetti – o portatori sani non avendo segni evidenti della malattia – che durante le loro migrazioni portano il virus in un ambiente nuovo.
Anche noi in Italia abbiamo le stagioni influenzali che riguardano l’aviaria. Queste coincidono con l’arrivo degli uccelli migratori in un periodo fra settembre e ottobre che varia a seconda delle condizioni climatiche. In questo periodo è possibile intercettare casi di virus H5. Alcuni sono stati rilevati in diversi Paesi europei e uno anche in Italia, ma il nostro obiettivo è quello di evitare che dagli uccelli selvatici l’infezione si trasmetta a quelli domestici.
Ha accennato al riscontro positivo di alcuni casi anche in Europa e nel nostro Paese, dove in particolare?
In Italia il riconoscimento di un selvatico positivo è avvenuto in Veneto e, appena qualche giorno fa, anche due focolai in allevamenti di tacchini e galline ovaiole. A livello comunitario invece parliamo di Stati del Nord Europa, ma anche Francia e, recentemente, Austria, sempre per quanto riguarda gli uccelli selvatici. Dobbiamo preoccuparci? In generale no ma dobbiamo rimanere sempre attenti e vigilare cercando di capire e rilevare eventuali casi il prima possibile.
Che strumenti hanno a disposizione le autorità competenti per contrastare la diffusione di questi virus?
Ogni anno sappiamo che c’è la possibilità che arrivi per cui attiviamo una rete di sorveglianza sia nei selvatici che nei domestici per rilevare il più precocemente possibile l’eventuale ingresso nel territorio. Ovviamente la prevenzione è fondamentale perché prima viene rilevato e prima possono essere messe in atto le misure di contenimento o di eliminazione. Le malattie infettive e contagiose come l’influenza aviare si diffondono velocemente se non adeguatamente contrastate, occorre pertanto agire in fretta.
È importante avere sistemi di sorveglianza, e per fortuna ne abbiamo, in grado di rilevare la circolazione del virus con largo anticipo, in modo da poter porre in atto tutte le misure di controllo che ci permettono, se siamo stati abbastanza bravi e fortunati, di contenere al massimo le infezioni.
Quali comportamenti deve invece mettere in atto il cittadino in questa fase?
Deve semplicemente attenersi al rispetto delle regole o dei consigli che vengono dati. Ad esempio, se si osservano volatili malati o morti, questi non vanno toccati o disturbati, ma occorre avvertire i servizi veterinari. Per il resto vorrei rassicurare sul fatto che, ad esempio, consumare carne di pollame non espone a rischi perché quella che arriva nei negozi e sulle nostre tavole è controllata. Ribadisco che l’importante è seguire regole e consigli diffusi in caso di eventuali focolai d’infezione.
I controlli saranno implementati anche nel settore alimentare come ad esempio nel latte?
Da quando sono stati registrati i primi casi nei bovini negli Stati Uniti, in Europa i servizi veterinari si sono subito attivati con monitoraggi e attività di sorveglianza. Al momento non vi è alcuna evidenza che questo virus abbia contagiato dei bovini nei Paesi europei. Sotto questo aspetto non abbiamo alcun tipo di avvisaglie di un’infezione simile a quella che c’è negli Usa.