La spesa sanitaria pubblica italiana è significativamente più bassa rispetto ai principali Paesi europei, sia in termini di valore pro capite che di percentuale del Pil.
Questo è quanto emerge da un’analisi della Federazione italiana delle aziende sanitarie e ospedaliere (Fiaso). Secondo lo studio, nel 2022 la spesa sanitaria pubblica pro capite in Italia, a parità di potere d’acquisto e misurata in dollari statunitensi, è stata di 3.255 USD. Questa cifra è superiore a quella di Spagna (3.113 USD), Portogallo (2.640 USD) e Grecia (1.785 USD), ma inferiore del 53% rispetto alla Germania (6.930 USD), del 42% rispetto alla Francia (5.622 USD) e del 27,3% rispetto al Regno Unito.
Nel 2022, l’incremento della spesa pro capite in Italia è stato del 6,7%, inferiore a quello della Germania (+7,9%) e della Francia (+8,6%), mentre il Regno Unito ha ridotto la spesa dell’1,3%. Anche durante il biennio 2020-2021, il più critico a causa della pandemia da COVID-19, la spesa sanitaria pubblica italiana è cresciuta del 15,5%, meno rispetto alla Francia (+19,2%), Germania (+18,4%) e Regno Unito (+28,6%).
In termini di incidenza sul Pil, la spesa sanitaria pubblica italiana nel 2022 è stata pari al 6,8%. Questo dato è superiore a quello del Portogallo (6,7%) e della Grecia (5,1%), ma inferiore di 4,1 punti percentuali rispetto alla Germania (10,9%), di 3,5 punti rispetto alla Francia (10,3%), di 2,5 punti rispetto al Regno Unito (9,3%), e di mezzo punto rispetto alla Spagna (7,3%) .
Per quanto riguarda la spesa sanitaria privata, secondo il sistema dei conti ISTAT-SHA, nel 2022 ammonta a € 41.503 milioni, di cui € 36.835 milioni (21,4%) out-of-pocket e € 4.668 milioni (2,7%) intermediata da fondi sanitari e assicurazioni. Oltre 25,2 milioni di famiglie italiane in media hanno speso per la salute € 1.362, oltre € 64 euro in più rispetto al 2021.
Come leggere con consapevolezza queste cifre? La spesa privata è realmente aumentata? E cosa c’entrano i fondi integrativi? Come sfruttare al meglio le potenzialità del nostro SSN per renderlo sostenibile? A tali quesiti ci ha aiutato a rispondere il professor Alessandro Venturi, Presidente della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia, docente di Diritto amministrativo e di Diritto regionale e degli enti locali presso il Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università degli Studi di Pavia e vice presidente della Fondazione The Bridge.
Come è composta la spesa sanitaria?
La spesa sanitaria può essere suddivisa in due macro categorie, una a carico di Stato e Regioni attraverso il finanziamento del SSN e l’altra a carico dei cittadini come compartecipazione al finanziamento del SSN o come spesa privata fuori dal SSN. Per l’anno 2024 ha stanziato per il SSN 134,1 mld, che saliranno a 135,39 mld nel 2025 e a 136 mld nel 2026. Un aumento di 20 miliardi negli ultimi 5 anni (nel 2019 erano 114 mld). La spesa privata, invece, ammonta, secondo anche le ultime rilevazioni Oasi, a 41,5 miliardi. La spesa sanitaria corrente supera dunque i 170 miliardi. Mi preme, però, su questo punto fare una precisazione.
Ci dica.
È sicuramente auspicabile aumentare il finanziamento del Fondo Sanitario Nazionale, anche perché ci sono servizi, come quelli orientati verso il disagio giovanile, i disturbi del comportamento alimentare, la neuropsichiatria infantile o la psichiatria dell’adolescenza, che rappresentano un vulnus eccezionale a cui è doveroso cercare di porre rimedio.
Ma aumentare le risorse non è una misura sufficiente, la spesa sanitaria va invece riclassificata.
In che modo?
La stratificazione dell’aumento della spesa comporta ritardi nella riorganizzazione della spesa stessa e questo è un punto cruciale. Una parte significativa dell’attuale spesa sanitaria, già stanziata nel Bilancio dello Stato, andrebbe rimodulata per liberare risorse da orientare verso nuovi bisogni. Sono perplesso sulla possibilità di aumentare la spesa senza una sua riclassificazione, perché tutte le volte che nel nostro Paese vengono iniettate risorse pubbliche, come ad esempio il PNRR, tale iniezione non si trasforma in un esempio virtuoso di ripensamento delle politiche pubbliche, al fine di orientare più correttamente l’impiego delle risorse.
Poco più di 40 miliardi, dunque. Ma quali sono le voci che compongono la spesa sanitaria privata?
Per rispondere con completezza alla domanda possiamo utilizzare il report elaborato dall’Osservatorio sui Consumi Privati in Sanità di CERGAS (SDA Bocconi), che analizza i dati del 2022.
Le macro-categorie di spesa sono 3: servizi ospedalieri, servizi ambulatoriali e beni sanitari. I servizi ospedalieri, che rappresentano il 13% della spesa sanitaria privata (5,4 miliardi di euro), comprendono ricoveri ospedalieri e ricoveri in strutture di assistenza sanitaria a lungo termine. Nei servizi ambulatoriali sono ricompresi Servizi medici (visite mediche e specialistiche, incluso ticket), dentistici, diagnostici e paramedici (infermieri, psicologi, fisioterapisti, ecc.). Questa è la voce di spesa più significativa che vale 20,7 miliardi (49,7%). Infine tra i beni sanitari si annoverano: farmaci in senso stretto (Fascia A, C, OTC, SOP, con ticket e differenza di prezzo), altri prodotti medicali non durevoli (bende, garze, siringhe, ecc.), attrezzature terapeutiche (occhiali, lenti, protesi auditive, riparazione e noleggio attrezzature, ecc.). Questi costituiscono il 37,2% della spesa (15,4 miliardi di euro).
Innanzitutto, dai numeri si evince come nella spesa privata non rientrino solamente i medesimi servizi erogati nelle strutture pubbliche o private convenzionate, ma vi sono anche prestazioni non garantite dai livelli essenziali di assistenza del SSN. Quasi il 50% della spesa destinata ai servizi ambulatoriali è relativa alle cure odontoiatriche. Ancora, il 13% è destinato ai servizi ospedalieri (in gran parte di tipo residenziale) e poco più del 37% ai beni sanitari (farmaci in senso stretto, altri prodotti medicali non durevoli, attrezzature terapeutiche). Emerge chiaramente come nel nostro Paese vengano in realtà acquisiti con spesa privata beni e servizi che vanno al di là delle prestazioni ospedaliere ed ambulatoriali rientranti nei LEA.
Perché è sbagliato parlare di aumento significativo della spesa sanitaria privata?
Sono i dati a dircelo: secondo le ultime rilevazioni disponibili, tra il 2021 e il 2022 tale tipologia di spesa è cresciuta solo dello 0,3%. Da tempo leggiamo che la spesa privata per la sanità in Italia è aumentata, ma questo non è vero. Anzi, dei circa 42 miliardi che vengono spesso citati, premesso che sono delle stime e nessuno sa realmente a quanto ammonti la spesa sanitaria privata, in realtà solo 17 sono spesa sanitaria vera, cioè quella che non è sostituita dal SSN. Una spesa fisiologica.
Di questi 17 miliardi, poi, ne abbiamo 4 che sono già intermediati da fondi mutualistici o assicurativi, quindi si riducono a 13 miliardi. Così come non è vero che il SSN stia abbandonando la sua veste pubblica in favore di quella privata. Da 15 anni la spesa sanitaria privata per ricoveri è ferma a poco meno di 2 miliardi all’anno, ciò significa che gli italiani si curano negli ospedali pubblici.
In questo contesto come si inserisce la sanità integrativa?
E’ fondamentale una revisione di alcuni profili di governo del sistema sanitario nazionale, come le professioni sanitarie e i comparti assicurativo e mutualistico. Ciò consentirebbe di rendere sostenibili dal punto di vista dei conti pubblici le proposte di legge sul sostegno finanziario del SSN. Oggi, infatti, rispetto al tasso di crescita del Paese appare poco verosimile immaginare che nei prossimi anni il finanziamento del sistema sanitario nazionale possa contare sui 40 o 45 miliardi che servirebbero per completare il quadro.
Con Agenda Salute, il documento elaborato da Università di Pavia insieme a Fondazione The Bridge, Università degli Studi di Milano e oltre 150 stakeholder tra società scientifiche, partiti, istituzioni, aziende farmaceutiche, associazioni dei pazienti e altre figure chiave del settore, abbiamo deciso di parlare in maniera aperta di sanità integrativa al di fuori di qualsiasi ideologia. Vogliamo immaginare un sistema che riduca il più possibile la spesa dal proprio portafoglio, quella out of pocket pura, mentre dovrebbe aumentare la spesa intermediata da fondi assicurativi e mutualistici. In un quadro, però, dove il SSN con i suoi 136 miliardi di spesa copre ancora il prevalente fabbisogno di tutti i cittadini italiani.
In questi anni le leggi finanziarie hanno previsto norme di defiscalizzazione consentendo ai cittadini di detrarre dalle proprie tasse parte del reddito per stipulare polizze assicurative, senza però integrare questo sistema in quello sanitario, senza cioè prevedere che le prestazioni che un cittadino riceve presso la sanità privata siano presenti nel fascicolo sanitario elettronico e siano così individuabili da chi svolge la funzione di programmazione e governo clinico.
Cosa si intende per spesa out of pocket?
E’ la spesa che comprende tutte le prestazioni sanitarie erogate ai cittadini che prevedono un esborso di denaro diretto da parte del cittadino. Questo tipo di spesa include ticket, franchigie, quote per farmaci e servizi non inclusi nei pacchetti assicurativi.
Lei insiste molto sul concetto di “responsabilizzazione dei cittadini” nell’esercitare il diritto e allo stesso tempo ottemperare il dovere di utilizzare il SSN consapevolmente.
Nessuno lo dice più nell’epoca dell’assolutizzazione della dimensione individualistica dei diritti, ma il bene salute è nel nostro sistema universalistico un bene “relazionale”. Ciò significa che in quanto tale non esiste in assoluto come bene esclusivamente individuale, ma presuppone necessariamente una relazione con altro da sé. È un diritto in altri termini che non può essere reso effettivo se non tenendo conto di alcuni limiti. Una semplificazione efficace permette di scindere l’aspettativa dalla necessità. In altri termini, ciò che è oggetto del diritto alla salute non è l’aspettativa (pur legittima si intenda), ma la necessità secondo tempi e modalità che necessariamente devono essere graduati.
Il “mercato della salute” non è un grande magazzino dove prendo ciò che voglio, quando voglio e della qualità che voglio. C’è un ordine di priorità, ci sono dei criteri di appropriatezza, che devono essere rispettati, dai prescrittori in primis e da ciascuno di noi di conseguenza. E soprattutto dobbiamo ricordare sempre che ogni volta che accediamo ad un servizio sanitario, lo stiamo facendo a carico della collettività e quindi va fatto con responsabilità. La stessa del buon padre di famiglia che deve decidere le priorità da assicurare ai propri figli, talvolta anche sacrificando l’aspettativa di qualcuno dei suoi componenti.
Ma quindi quale è Il vero tallone d’Achille del sistema?
Sicuramente non la sanità privata, ma l’irresponsabilità di chi consuma senza tenere conto dell’altro, dei suoi bisogni. Questa è la deriva dei diritti che si trasformano in pretese di soddisfazione delle aspettative individuali. Il welfare è innanzitutto responsabilità, verso se stessi, verso gli altri. Perché io sinceramente non credo possiamo rinunciare alle migliori cure per le patologie più complesse e severe, e con costi di accesso elevati, in cambio di prestazioni ordinarie (prime visite specialistiche, diagnostica etc) che soddisfano più la nostra aspettativa che la reale necessità. Il binomio aspettativa/necessità è il crocevia su cui ci giochiamo il futuro del nostro sistema. Poi tutto può essere migliorato, ma senza perdere il senso di quello che abbiamo.