Sono oltre 330 milioni le persone colpite da depressione: si calcola che, nel corso dell’esistenza, colpisca almeno una volta nella vita da 1 persona su 5 a 1 su 3.
Un disturbo mentale che si caratterizza per un’alterazione dell’umore, tristezza di diversa gravità, senso di solitudine, mancanza di speranza, contrarietà, sensi di colpa e dubbi: dunque, una marcata sofferenza individuale, ma anche familiare e sociale.
Le donne, nel mondo come anche in Italia, presentano un rischio doppio di sviluppare il disturbo rispetto agli uomini. La patogenesi è multifattoriale e legata alla combinazione di fattori genetici, vulnerabilità individuali, aspetti di personalità, problemi psicologici e relazionali, fattori ambientali, biologici, sociali, da stress, da malattie organiche e da farmaci.
Il sesso femminile per natura tende, poi, a vivere con maggior coinvolgimento e più alta risonanza emotiva le relazioni sociali e affettive: elemento, questo, che può renderlo più vulnerabile alla malattia. A ciò si aggiunge il profondo cambiamento del ruolo della donna all’interno della società, che la vede sempre più impegnata su molteplici fronti e quindi sottoposta a un forte stress fisico e psico-emotivo. L’aumento della quantità di lavoro, i maggiori carichi di responsabilità associati a ruoli professionali apicali e di rilievo da conciliare con la famiglia, l’acquisizione di abitudini di vita scorrette, i disturbi del sonno, sono tutti fattori ad alto rischio.
Significativi sono anche la violenza, fisica e psicologica, di cui sono purtroppo vittime le donne, nella maggior parte dei casi fra le stesse mura domestiche, nonché condizioni di diseguaglianza e discriminazione, assai più diffuse di quanto si possa immaginare, anche in Paesi avanzati.
Non solo. Tra i diversi fattori causali viene riconosciuto il ruolo degli ormoni femminili. Infatti, la depressione è correlata in particolare ai cicli vitali della donna, presentandosi più frequentemente nelle fasi della vita in cui si verificano i grandi cambiamenti ormonali: pubertà, gravidanza e puerperio, climaterio e menopausa.
I cicli della vita della donna
Il disturbo disforico premestruale è un disturbo dell’umore che colpisce circa il 5% delle donne, spesso durante tutti gli anni riproduttivi con inizio in adolescenza. Si manifesta durante la maggior parte dei cicli nel corso dei 12 mesi precedenti, con sintomi capaci di interferire nella vita quotidiana e nelle relazioni interpersonali. Si tratta di un disordine caratterizzato da sintomi affettivi e/o fisici e da un ridotto adattamento allo stress nella fase luteale del ciclo mestruale.
La depressione nel perinatale è comune nelle donne, colpisce dal 13 al 16% soprattutto durante la gravidanza e il periodo post-parto. Questo periodo presenta una considerevole variabilità di disturbi mentali che richiede dunque una adeguata identificazione e conseguente gestione. La gravidanza è associata a stress fisico, fisiologico e psicologico.
Generalmente la donna affronta la maternità con gioia e realizzazione, ma spesso può essere accompagnata da ansia, preoccupazioni e paure scaturite dal dover gestire tali cambiamenti con un livello di supporto emotivo non sufficiente o non efficace. Spesso, in effetti, le donne dicono di sentirsi contente e di stare bene. Questo non avviene però per tutte. I disturbi mentali nel periodo perinatale hanno un significativo impatto sulla vita della donna, sul bambino, sulla relazione mamma-bambino e su tutto l’entourage familiare. Si stima che circa il 40% delle donne che manifestano depressione nel post-partum fosse già depressa durante la gravidanza.
La depressione nel climaterio. Tra la pre-menopausa e la post-menopausa vi è un momento importante: la peri-menopausa, periodo di transizione verso la menopausa, caratterizzata da almeno 6 mesi di cicli irregolari, meno di un anno di amenorrea ed età media di 47 anni e ½. Tale fase è caratterizzata da frequenti dolori articolari, mialgie e disturbi del sonno, importanti nell’indurre dei sintomi depressivi. La finestra di vulnerabilità riguarda i 24 mesi della peri-menopausa ove il rischio di depressione aumenta di 14 volte rispetto alla pre-menopausa.
Nell’arco di tempo in cui si verifica questo cambiamento la donna può percepire una serie di fenomeni fisiologici neuroendocrini (fenomeni così detti del climaterio ovvero dell’adattamento fisiologico): della circolazione sanguigna (le così dette vampate), del ciclo sonno-veglia, della stabilità dell’umore, del ciclo alimentare e sessuale.
I fenomeni del climaterio sono dovuti al tentativo dell’ipofisi di stimolare le ovaie, che non secernono più ormoni. I fenomeni sono quindi caratteristici di situazioni di sovrastimolazione o sovreccitazione, dovuti ad una iperfunzione ipofisaria; essi inoltre non sono percepiti da tutte le donne (solo circa il 20% ne riferisce un forte fastidio) e tendono naturalmente a ridursi nel tempo. Da tenere sempre in considerazione è comunque il modo in cui le donne percepiscono la menopausa, guidate da pregiudizi sociali.
I disturbi dell’ansia
Il disturbo depressivo maggiore sia nell’adulto che nell’adolescente risulta spesso associato ad altre patologie psichiatriche nel corso della vita ed in particolare con i disturbi d’ansia. L’ansia produce su soggetti con depressione un aumento della gravità, cronicità e disabilità, causando un aumentato rischio di suicidio e di refrattarietà ai trattamenti. Spesso la presenza di ansia in soggetti affetti da depressione maggiore si associa alla presenza di dolore cronico, frequente sia nella zona lombare che in sede addominale o cardiaca.
Numerosi studi hanno cercato di valutare il rapporto tra ansia e depressione, un aspetto importante è l’alterata esperienza dell’individuo rispetto al sé e alla visione del proprio futuro. Una visione alterata degli eventi della vita, dove vengono selezionati e amplificati gli aspetti negativi, provoca uno stato pessimistico nel presente e nel futuro che genera una condizione permanente di preoccupazione e ansia.
Quando è il clima ad influenzare la psiche
Molte persone che vivono in climi in cui vi sono nette differenze stagionali nella durata dell’esposizione alla luce solare presentano disturbi affettivi e stagionali consistenti in calo di umore ed energia vitale. Questi disturbi si manifestano durante l’autunno/inverno e per essere considerati di natura psichiatrica devono manifestarsi per almeno 2 anni consecutivi (nell’emisfero settentrionale).
Le donne hanno una probabilità 6 volte maggiore degli uomini di avere disturbi affettivi stagionali, una condizione in cui gli episodi depressivi ricorrono con una distribuzione stagionale. Infine i quadri depressivi stagionali sono più spesso associati a manifestazioni atipiche della forma depressiva come l’aumento di peso, l’ipersonnia, sensazione di pesantezza degli arti e persistente ipersensibilità o rifiuto alle relazioni. Tali condizioni sono molto ben conosciute in nord Europa ed in particolare nei paesi baltici.
Erroneamente si intende che l’Italia non sia interessata al disturbo per via della latitudine, in realtà studi condotti in Svizzera hanno dimostrato un’elevata prevalenza del disturbo.
Altri volti della depressione
Il disturbo distimico caratterizza una forma depressiva di tipo cronico, non episodico, ritenuta meno grave dal punto di vista sintomatologico rispetto alla forma maggiore. Spesso il disturbo esordisce in adolescenza, inizia a manifestarsi in modo insidioso e permane per almeno 2 anni. In questa tipologia di disturbo sono stati osservati con elevata frequenza sintomi cognitivi, come una diminuzione dell’attenzione e della concentrazione, e socio-motivazionali, come uno scarso interesse per le attività e le relazioni, con conseguente tendenza all’isolamento.
Il disturbo bipolare è un disturbo psichiatrico severo ad andamento ciclico caratterizzo dall’alternarsi in modo non prevedibile di fasi di tipo depressivo e fasi maniacali. Esistono diverse forme di questo disturbo che richiedono modalità di trattamento e assistenza diversificati. Il decorso è caratterizzato da una maggiore prevalenza di episodi depressivi, un tempo maggiore della fase depressiva ed un maggior impatto di questi sintomi sulla disabilità globale prodotta dalla malattia. La sintomatologia tende ad incidere significativamente sul funzionamento individuale e sulla qualità di vita. E’ infine rilevante sottolineare che le fasi depressive in questi pazienti assumono frequentemente connotazioni di gravità molto elevate con perdita di piacere ed interesse, elevati livelli di ansia e agitazione comportamentale ed un rischio di suicidio significativamente elevato.
Depressione: un problema anche della sfera cognitiva
Il disturbo depressivo maggiore è una condizione clinica debilitante anche per la frequente presenza di alterazioni delle funzioni cognitive. Secondo alcuni autori, la depressione maggiore potrebbe persino essere considerata come un vero e proprio disturbo della sfera cognitiva.
In realtà, nessuno dei sistemi moderni di classificazione dei disturbi mentali considera obbligatoria la presenza dei sintomi cognitivi per la diagnosi di episodio depressivo maggiore. I sintomi da deficit cognitivo vengono però sempre citati come sintomi fondamentali che possono concorrere alla diagnosi. L’inserimento dei disturbi della sfera cognitiva all’interno dei criteri fondamentali nella diagnosi di depressione si fonda sulla frequenza elevata di tali sintomi tra i pazienti affetti dal disturbo.
In secondo luogo, la sintomatologia cognitiva è direttamente correlata alla riduzione del funzionamento in ambito lavorativo, scolastico e sociale. Inoltre, la riduzione delle abilità cognitive del paziente rende in generale meno efficaci sia gli interventi psicoterapici che gli interventi psicofarmacologici, indipendentemente dalla gravità degli altri sintomi. In oltre il 40% dei pazienti, i sintomi cognitivi persistono anche al termine dell’episodio depressivo maggiore, rappresentando il sintomo residuo inter episodico più lamentato dai pazienti.
Benché i sintomi da deficit cognitivo interessino i pazienti con depressione maggiore in tutte le fasce di età, la prevalenza di sintomi cognitivi nel caso di soggetti di età elevata può rappresentare per il clinico un difficile problema di diagnosi differenziale con i disturbi neuro cognitivi dovuti a demenza. Uno studio del 2011 rileva come i disturbi dell’area cognitiva siano presenti, in forma più o meno marcata, nel 94% dei pazienti.